Ci ha srcitto una insegnante italiana che insegna ad Oxford, http://www.ox.ac.uk/ bellissimo, ma la cosa per la quale ci ha scritto ci riempie tutti di gioia, di una gioia incontenibile, ed è per questo che vogliamo condividerla con voi. L'insegnante ci ha chiesto se può farci delle domande inerenti il dialetto calabrese, e vorrebbe due copie del sostantivo dialettale calabrese che stiamo per pubblicare. Questi quaderni, sul sostantivo calabrese di Giuseppe Scafoglio, sono stati pubblicati moltissimi anni fa, il primo nel 1928 e l'ultimo, sono quattro, nel 1931, siamo riusciti a recuperarli tutti e a pubblicarli insieme, e ancora interessano. Ma torniamo all'insegnante di Oxford, che noi ringraziamo pubblicamente e siamo a completa disposizione, dell'Università di Oxford, come lo siamo stati con l'Università di Salerno. La cultura e la ricerca non hanno confini!. Siamo fieri ed orgogliosi di queste cose, uno dei motivi fondanti di questo blog, per le nostre radici, per la valorizzazione delle intelligenze che sono state dimenticate e la continua ricerca delle propie radici per essere certi da dove veniamo, e quindi certi di sapere dove andiamo.
30/11/11
28/11/11
L' INVIDIA 6° di Leonardo Mazza
Abbiamo voluto, viste le richieste, continuare a pubblicare i vizi capitali di Leonardo Mazza da Bocchigliero, questi ci auguriamo che presto vengano pubblicati insieme a tutta l'opera del Mazza, che riteniamo un personaggio che deve essere conosciuto.........e Oltre.
Buona lettura.
L' Invidia
Qual ' orrida infernal Furia, che freme,
Lividi gli occhi, e scarmigliato il crine
Ed in sè stessa incrudelendo, geme :
Tale veggiam di triboli e spine :
Su letto assisa Invidia, che soltanto
Di bieca altri guardar perverso ha fine,
Ella gioisce allor che in lutto e pianto
Vede la stirpe umana, e si rattrista
Quando la vede immersa in gioia e canto .
Onde guardar nel bene altrui, la vista
Tiene qual Argo, o Linge favolosa :
Freme se onor grandezze altri acquista .
Chi è mai quegli, che torbida e rugosa
Mostra la fronte, con sogghigno amaro
La gira intorno cupa, e sospettosa ?
E' un invido peggior del tristo avaro,
Che di sè stesso fattosi tiranno,
Tiene degli altri il ben sempre a discaro .
Figlia nel Ciel del perfido Satanno
Scese l 'invidia giù nel basso inferno,
Donde al figiuol dell 'uom recò suo danno .
Bieca sul trono assiso ella il Superno
Nume guatava, e di furore armata
Balzar già lo volea dal soglio eterno.
Oh vana impresa ! Dal Signor scacciata
Giù si travolge rotolando, e seco
Porta la sua infernal rabbia spietata .
Sul Nifate la veggio assisa un bieco
Sguardo fissare su la stirpe umana,
E furibonda dire : Io sarò teco .
Quindi varcò la interminabil vana
Region del Cielo, e l 'albero fatale
Tocco restò dalla sua man profana .
Allor gigante su la terra il male
Stese le braccie, e l 'inesperto Adamo
Fece la stirpe sua trista e mortale .
Miseri noi ! Che circondati siamo
Dai vizii di Satan, del male amico,
A cui d 'impuro cor voti porgiamo .
Per lui, con volto pallido, impudico,
Venne fra noi l 'invidia, e l 'uman cuore
Tocco da lei si fè del ben nemico .
Quegli, che vive in mezzo allo splendore
Di grandi onori, lacerar si sente
In petto, e mostra in fronte il suo livore,
Quando i germogli di più bassa gente
Vede inalzati ad onorato seggio .
Dove non siede mai vile pezzente :
Solingo e malinconico lo veggio
Morders' il labbro, ed aggrizzare il naso,
Livido il volto, bieco il guardo, e peggio
Falso principio il cuore umano invaso
Ha nel presente secolo corrotto,
In cui spezzato è di Pandora il vaso :
E, che nel seggio degli onor condotto
Sia quei soltanto, a cui di nobil schiatta
Blù scorre il sangue, od ignorante o dotto .
E l 'altra gente, che a virtude è fatta,
Languisca nel disprezzo, e nell 'oblio,
Siccome belva, che vil fango imbratta .
Stolti che siete ! Stolto ancor desio
Nutrite in cor, se avete la baldanza
Credervi figli, oibò ! d 'un altro Dio .
Oh la patrizia, stupida jattanza !
Credon che sia soltanto la grandezza
Annessa dei natali all 'arroganza :
E l 'umil plebe, che il patrizio sprezza,
Nata nel basso, vi si alligni, e mai
Osi aspirar dei nobili all 'altezza .
Vana lusinga ! Son mutati assai
Ora i costumi, i tempi, ed è patrizio
Quei, che virtude non oblia giammai .
E' già sparito delle Coste il vizio ;
Chè la virtù nobilita i plebei,
E il nobile corrotto il fa novizio .
Veggiam perversi, invidiosi e rei,
Quei grandi, che dell 'oro, dell 'argento
Gl 'idoli han fatto, e gl 'insensati Dei :
Vogliono sempre in vergognoso stento
Veder la plebe, nei sudori onesta,
Acciò drizzi su loro il guardo intento .
Vogliono sempre timida, e modesta
Vederla innanzi ad essa umiliata,
Acciò non alzi l 'orgogliosa testa .
Sicchè se veggon di costei mutata
Fortuna, che tramuta li ben vani,
Paventa di costor l 'alma spietata .
Mutano spesso gli splendor mandani,
Distribuendo egualmente la luce,
Che rende sciocchi gl 'intelletti umani .
E' la Fortuna un 'incostante duce,
Che or nei buoni, or negli avversi eventi
Prende l 'uomo per mano, e lo conduce .
Quindi veggiamo i Grandi e gli opulenti,
Oggi sedere nei gemmati scanni,
E la dimane andar quali pezzenti :
E i poveri, che vivono tra gli affanni
Di perigliose orribili fatiche,
Mutano sorte col mutar degli anni .
Son tutte nell 'oblio le schiatte antiche,
E di Marchesi, Principi, e Baroni,
Su le torri veggiam nate le ortiche :
Onde di nuove stirpi ecco i Blasoni
Ecco dal volgo uscir nuova ciurmaglia
Di Prenci, e Cavalier senza speroni .
Ma che ? Del volgo la grandezza abbaglia,
Onde i Potenti sprezzatore un riso
Volgon sovr 'esso ; acciò alto non saglia .
Vedi ; quel vile si abbellisce il viso !
Quegli si adorna di abiti galanti !
Dicon tra loro con il cuor sonquiso .
Sicchè diventan perfidi e furfanti ;
Mossi da invidia pazza, e gelosia,
Fanno nel bivio, e trivio i petulanti .
E s 'impssess 'ancor questa manìa
Dei dottorelli, od ignoranti, o vili,
Che declamando van lungo la via .
Con motti ora insolenti, ed or gentili
Van censurando i veri dotti, ond 'essi
Sembrino dotti, e in osservar sottili .
Sono da invidi 'ancor vinti ed oppressi
Regi, Ministri, sacerdoti, e frati,
Che veggio incrudelir contro sè stessi .
Quei, che nel fango son vigliacchi nati,
E nell 'obbrobrio vivono, incapaci
D 'alti pensier, tal peste anco ha macchiati
Onde li veggio lividi e mordaci
Biechi guardar nell 'altrui fortuna
Ed insultando diventare audaci .
Molte la terra nel suo grembo aduna
Di queste invidiose anime prave,
Degne dell 'infernal cupa laguna
Per gl 'invidi maligni un carco grave
E' il bene altrui, e sentono nel seno
Pel male degli altri un giubilo soave .
Strugge d 'invidi 'ancor crudo veleno
Quella modesta timida donzella,
Che il fresco aspetto non ha bello appieno :
Bieca riguarda or questa donna, or quella,
E dentro il petto si consuma e rode ;
Perchè fra tutte, ahimè ! essa è men bella
Freme quell 'altra che seguir le mode
Non puole, onde adornarsi, e la civetta
Facendo, aver da mille amanti lode .
E dell 'invidia l'atra peste infetta
Quell 'altra, che frequenta i confessori .
Ed uno sposo da gran tempo aspetta,
Del talamo vicin sente gli odori,
Ond 'ella geme, e si rattrista in petto ;
Chè più felici son d 'altra gli amori .
Che più dico di un volgo maledetto ?
Son gli invidi, misantropi cattivi,
Che d 'odio infame il cor tengono infetti .
Contro sè stess 'incrudeliscon vivi,
E dopo morte avran di Furie il morso :
Onde lor giova udir : Di senno privi,
Il cane abbaia, e fa la luna il corso .
Buona lettura.
L' Invidia
Qual ' orrida infernal Furia, che freme,
Lividi gli occhi, e scarmigliato il crine
Ed in sè stessa incrudelendo, geme :
Tale veggiam di triboli e spine :
Su letto assisa Invidia, che soltanto
Di bieca altri guardar perverso ha fine,
Ella gioisce allor che in lutto e pianto
Vede la stirpe umana, e si rattrista
Quando la vede immersa in gioia e canto .
Onde guardar nel bene altrui, la vista
Tiene qual Argo, o Linge favolosa :
Freme se onor grandezze altri acquista .
Chi è mai quegli, che torbida e rugosa
Mostra la fronte, con sogghigno amaro
La gira intorno cupa, e sospettosa ?
E' un invido peggior del tristo avaro,
Che di sè stesso fattosi tiranno,
Tiene degli altri il ben sempre a discaro .
Figlia nel Ciel del perfido Satanno
Scese l 'invidia giù nel basso inferno,
Donde al figiuol dell 'uom recò suo danno .
Bieca sul trono assiso ella il Superno
Nume guatava, e di furore armata
Balzar già lo volea dal soglio eterno.
Oh vana impresa ! Dal Signor scacciata
Giù si travolge rotolando, e seco
Porta la sua infernal rabbia spietata .
Sul Nifate la veggio assisa un bieco
Sguardo fissare su la stirpe umana,
E furibonda dire : Io sarò teco .
Quindi varcò la interminabil vana
Region del Cielo, e l 'albero fatale
Tocco restò dalla sua man profana .
Allor gigante su la terra il male
Stese le braccie, e l 'inesperto Adamo
Fece la stirpe sua trista e mortale .
Miseri noi ! Che circondati siamo
Dai vizii di Satan, del male amico,
A cui d 'impuro cor voti porgiamo .
Per lui, con volto pallido, impudico,
Venne fra noi l 'invidia, e l 'uman cuore
Tocco da lei si fè del ben nemico .
Quegli, che vive in mezzo allo splendore
Di grandi onori, lacerar si sente
In petto, e mostra in fronte il suo livore,
Quando i germogli di più bassa gente
Vede inalzati ad onorato seggio .
Dove non siede mai vile pezzente :
Solingo e malinconico lo veggio
Morders' il labbro, ed aggrizzare il naso,
Livido il volto, bieco il guardo, e peggio
Falso principio il cuore umano invaso
Ha nel presente secolo corrotto,
In cui spezzato è di Pandora il vaso :
E, che nel seggio degli onor condotto
Sia quei soltanto, a cui di nobil schiatta
Blù scorre il sangue, od ignorante o dotto .
E l 'altra gente, che a virtude è fatta,
Languisca nel disprezzo, e nell 'oblio,
Siccome belva, che vil fango imbratta .
Stolti che siete ! Stolto ancor desio
Nutrite in cor, se avete la baldanza
Credervi figli, oibò ! d 'un altro Dio .
Oh la patrizia, stupida jattanza !
Credon che sia soltanto la grandezza
Annessa dei natali all 'arroganza :
E l 'umil plebe, che il patrizio sprezza,
Nata nel basso, vi si alligni, e mai
Osi aspirar dei nobili all 'altezza .
Vana lusinga ! Son mutati assai
Ora i costumi, i tempi, ed è patrizio
Quei, che virtude non oblia giammai .
E' già sparito delle Coste il vizio ;
Chè la virtù nobilita i plebei,
E il nobile corrotto il fa novizio .
Veggiam perversi, invidiosi e rei,
Quei grandi, che dell 'oro, dell 'argento
Gl 'idoli han fatto, e gl 'insensati Dei :
Vogliono sempre in vergognoso stento
Veder la plebe, nei sudori onesta,
Acciò drizzi su loro il guardo intento .
Vogliono sempre timida, e modesta
Vederla innanzi ad essa umiliata,
Acciò non alzi l 'orgogliosa testa .
Sicchè se veggon di costei mutata
Fortuna, che tramuta li ben vani,
Paventa di costor l 'alma spietata .
Mutano spesso gli splendor mandani,
Distribuendo egualmente la luce,
Che rende sciocchi gl 'intelletti umani .
E' la Fortuna un 'incostante duce,
Che or nei buoni, or negli avversi eventi
Prende l 'uomo per mano, e lo conduce .
Quindi veggiamo i Grandi e gli opulenti,
Oggi sedere nei gemmati scanni,
E la dimane andar quali pezzenti :
E i poveri, che vivono tra gli affanni
Di perigliose orribili fatiche,
Mutano sorte col mutar degli anni .
Son tutte nell 'oblio le schiatte antiche,
E di Marchesi, Principi, e Baroni,
Su le torri veggiam nate le ortiche :
Onde di nuove stirpi ecco i Blasoni
Ecco dal volgo uscir nuova ciurmaglia
Di Prenci, e Cavalier senza speroni .
Ma che ? Del volgo la grandezza abbaglia,
Onde i Potenti sprezzatore un riso
Volgon sovr 'esso ; acciò alto non saglia .
Vedi ; quel vile si abbellisce il viso !
Quegli si adorna di abiti galanti !
Dicon tra loro con il cuor sonquiso .
Sicchè diventan perfidi e furfanti ;
Mossi da invidia pazza, e gelosia,
Fanno nel bivio, e trivio i petulanti .
E s 'impssess 'ancor questa manìa
Dei dottorelli, od ignoranti, o vili,
Che declamando van lungo la via .
Con motti ora insolenti, ed or gentili
Van censurando i veri dotti, ond 'essi
Sembrino dotti, e in osservar sottili .
Sono da invidi 'ancor vinti ed oppressi
Regi, Ministri, sacerdoti, e frati,
Che veggio incrudelir contro sè stessi .
Quei, che nel fango son vigliacchi nati,
E nell 'obbrobrio vivono, incapaci
D 'alti pensier, tal peste anco ha macchiati
Onde li veggio lividi e mordaci
Biechi guardar nell 'altrui fortuna
Ed insultando diventare audaci .
Molte la terra nel suo grembo aduna
Di queste invidiose anime prave,
Degne dell 'infernal cupa laguna
Per gl 'invidi maligni un carco grave
E' il bene altrui, e sentono nel seno
Pel male degli altri un giubilo soave .
Strugge d 'invidi 'ancor crudo veleno
Quella modesta timida donzella,
Che il fresco aspetto non ha bello appieno :
Bieca riguarda or questa donna, or quella,
E dentro il petto si consuma e rode ;
Perchè fra tutte, ahimè ! essa è men bella
Freme quell 'altra che seguir le mode
Non puole, onde adornarsi, e la civetta
Facendo, aver da mille amanti lode .
E dell 'invidia l'atra peste infetta
Quell 'altra, che frequenta i confessori .
Ed uno sposo da gran tempo aspetta,
Del talamo vicin sente gli odori,
Ond 'ella geme, e si rattrista in petto ;
Chè più felici son d 'altra gli amori .
Che più dico di un volgo maledetto ?
Son gli invidi, misantropi cattivi,
Che d 'odio infame il cor tengono infetti .
Contro sè stess 'incrudeliscon vivi,
E dopo morte avran di Furie il morso :
Onde lor giova udir : Di senno privi,
17/11/11
GOLA 5° di Leonardo Mazza da Bocchigliero
![]() |
http://digilander.libero.it/onismazz/la%20news.htm |
Buona lettura
I GOLOSI
" Come quel cane , che abbaiando agugna,
" E si racqueta poi che il cibo morde ;
" Che solo a divorarlo intende, e pugna .
In simil guisa veggiarn le lorde
Facce di quei, che dalla gola vinti
Tengono l' alme alla ragione sorde .
Essi da impulso bestiale spinti,
Volgono intorno l' affamata sanna,
Quai lupi, che gli ovili hanno precinti :
Per acquistar la preda ognun si affanna,
E gira il guardo cupido, ed avaro,
Finchè il pastore sonnacchioso inganna .
Hanno i golosi fatto un idol raro
Del cibo, e a lui volgend' ogni lor cura,
Solo il ventre per essi è il Dio più caro .
Solleciti, li vedi e con premura
In cer' andar di delicate cene,
Il cui profumo l' intellett' oscura .
Alimentar li vedi le murene,
Crescere cervi, ed educar falconi,
Che in aurei lacci quel garzon ritiene,
Dagl' Indi, dagli Egizii e dai Sidoni,
Vengono spesso gli odorosi unguenti .
Di cui le mense fuman dei ghiottoni .
Del pepe, del garofano già senti
L' odor, della cannella la fragranza,
Che fan venirti dolci svenimenti :
E vedi sibaritica pietanza
Di Siria cuoco preparare intento,
L' oro sciupando di regal possanza .
Sicchè gli averi del Signore a stento
Ponno bastare a splendida cucina,
Primo pensier di lui, cura e contento .
Sollecito lo vedi la mattina
Gli ordini dare a cuochi, e servidori
E chi al macello andar, chi alla marina :
Ed in diversi preparar sapori
Vedi giovenche di Sorrento, e il pingue
Appulo agnel dai candidi colori .
Vedi i lacerti preparar, le lingue :
E del famoso golfo tarantino
L' ostriche ancor sua voglia non estingue :
Nè le silane trotte, o il latticino
Del calabro pastor, nè il buon Falerno .
O il cecubo famoso antico vino .
Ecco, alla mensa di costui discerno
Triglie dorate ; e perle d' Oriente
Ornar di pesce insipido l' esterno .
Di Malaga, Lunella, e di Charente
Vedi i famosi vini, e del muscato
Siracusano anco l' odor si sente .
Che più ? L' impegnan questo a far beato
Soltanto il ventre in cui ripongon tutto
Della vita presente il dolce stato :
E credon che lo spirito, lordo e brutto
Di tanti vizii, quando l' uom sen muore,
Torna con lui nel nulla anco distrutto :
Onde, insensati ! sieguono l' errore
Di quel famoso porco di Epicuro,
Che del presente avea soltanto amore .
E non credendo al secolo venturo,
Edamus, et bibamamus, dicea ;
Chè l' avvenire a noi si affaccia oscuro .
Questa è la vita della gente rea .
Che di coscienza ogni rimorso attuta,
E dei delitti suoi ella si bea .
Per essi la materia è sol creduta,
Ed infangati in mille atre sozzurre,
Rendono l' alma alla ragione muta .
Sieguono questi le dottrine impure
Di Sfero, di Lucrezio, e di Fenone,
Di Sesto, e di Leucippo le brutture
Peggio ! Diventan figli di Pirrone,
E convertiti in sonnacchiosi bruti,
Guardano biechi e Socrate , e Platone
Da questo vizio infetti anco i chercuti
Spesso veggiano, e di beati porci
Vita manare in odorosi luti .
S' impinguan questi, onde impinguare i sorci ;
Chè nella tomba tutto giaà finisce,
Onde, o goloso invano ti contorci .
Se per lauto banchetto il cor gioisce,
E il tutto mette in disperat' oblio,
L' aspetto della morte lo atterrisce .
Nè più lo aiuta del suo ventre il Dio,
Che stupido, corrotto e incostante
Sparisce , e paga di sue colpe il fio :
Vedi colà quel giovine furfante
Girovagnando andar per le cantine
Quel impudico stupido baccante ?
Un vil goloso egli è, che mai confine
Mette all' orribil vizio della gola,
Infin che giunge a disperato fine .
Ed ubbriaco diventato, invola
Alla ragione il freno, ed in sè stesso
D' essere una gran bestia si consola .
Dai debiti lo vedi un giorn' oppresso
Andar lungo le strade camminando
Con volto malinconico, e dimesso .
E spesso l' odi andar bestemmiando
Il vizio, che gli fè tutto finire,
Beni, ragione onor gozzovigliando.
Sicchè lo vedi in ultimo fuggire
Del dì la luce, e all' ombra della notte
In rubbacchiare altrui mostrar l' ardire .
Che più ? vi son di femmine corrotte,
Che dalla gola dominate e vinte,
Ad impudico amor vengon sedotte .
Onde le vedi di vergogna cinte
Andar pei trivii, e pei quatrivii a tutti
Bellezze offrire di pudor non tinte .
Quei magistrati ancor, che lordi e brutti
Son di tal peste, in sè timor non hanno
Se gli statuti vengono distrutti .
Per appagar lor vizio, essi l' inganno
Adoprano in segreto, ed in palese,
E quei son pochi che giustizia, avranno .
E che direi, se a raccontar le offese
Io mi farei di frati, e sacerdoti,
Onta e vergogna delle nostre chiese ?
Forse son questi al vero Dio devoti,
Quando del ventre all' insensato Nume
Porgono sempre i loro incensi e voti ?
Oh tempi antichi ! Oh candido costume !
Quando mettean le leggi angusto freno
A chi smarria della ragione il lume .
Taccio di Fabio, Quinzio, e Labieno,
Nè d' altr' illustri temperant' io dico ;
Sol di Lunello mio ricordo appieno .
Questi della virtù fatto nemico,
Ed in oblio mettendo la sua gloria,
Di crapole vivea soltanto amico .
Di Cizico egli oscura la vittoria ;
Di Sinope, di Nisibi, e Trigane
Sembra che più non parli la sua storia .
Oh la soltezza delle menti umane !
Che vengon dall' Apostolo chiamate"
Stupide, cieche, misere profane !
Quando le vede al ventre umiliate .
14/11/11
Democrazia e non Oltre
Le scene a cui abiamo assistito in questi giorni non sono degne di un paese civile, la nostra società non è evoluta, e soprattutto non ha una democrazia compiuta, moderna che sia forte dell'esperienza del passato, della storia dellla nostra martoriata Repubblica. I professionisti dell'informazione, pur di fare notizia si avventurano in paragoni assurdi, in voli pindarici che fomentano e aizzano la gente comune, purtroppo eccessivamente influenzabile, allo scontro e non al sano confronto, anche aspro, ma che rispetti l'altro... e non mi riferisco a nessuno in particolare, vorrei fare solo un inciso sulla Democrazia, che rimane un chiaro punto di riferimento e di orgoglio per i tanti che ne conoscono il vero e profondo significato. La crisi è della nostra povera e indifesa moneta, l'Euro non è protetto come altre monete mondiali, non ha una banca forte che possa difenderne le speculazioni planetarie, e quindi non possiamo festeggiare con lo spumante come se si fosse vincitori, così facendo perde l'Italia, che deve farcela come ha sempre fatto, con sacrifici, tagni, ritorno ad un periodo di austerità e sobrietà che può anche far crescere una cultura collettiva migliore, anche le forze polite possono maturare una capacità di ascolto e compromesso che porta ad una politica meno gridata, dai toni forti e non personali, che ledono il buon nome dell'Italia, meditate gente meditate
11/11/11
Alba di Novembre
Autunno in Sila Calabria |
Luna di novembre
![]() |
Tratta da www.ansa.it |
un albero spoglio che si staglia gelato,
un cielo pumbleo appena pennellato
dai tenui colori d'un tramonto,
si muta in visione senza pari,
se un raggio di luna
fievole e pudico
s'insinua nell'animo in penombra.
Gli occhi socchiusi
si allargano
e vedono la strada che cammini
in un'altra dimensione.
E là,
dove ostacoli ti hanno fermato
e fatto il capo piegare,
scompaiono
come vallate nella nebbia.
Senti che gli alberi spogli non son morti
ma solo addormentati
e che presto si desteranno
per dare la bellezza socchiusa nella linfa:
purezza di nuovi fiori filtrati dal letargo,
a quel raggio di luna a quel tramonto
e ti riporta all'alba d'un nuovo domani.
In un nuovo cielo: alto, azzurro, caldo.
Mi piace la luna di Novembre
e mi piace Novembre, gli alberi ed il suo cielo
che nella loro mesta delicatezza
riescono a parlarmi sottovoce.
Mi piace la luna di Novembre che sfrangiando il cielo
mi allunga le braccia
e mi prende per mano
per fare un pezzo di strada del mio andare,
in compagnia.
E. Benincasa da: "Tra il vento e la pioggia".
07/11/11
L' IRA 4 ° di LEONARDO MAZZA da Bocchigliero
Continuiamo la pubblicazione dei vizi capitali, qualcuno ci chiede di pubblicarli, ci stiamo pensando, vorremmo pubblicare tutto il libro di Leonardo Mazza da Bocchigliero. Vorremmo che le istituzioni prendessero atto di questo personaggio, e dedicare a lui una via, un luogo culturale, una piazza e comunque facciano conoscere alla popolazione, vicina e lontana, un personaggio di questa caratura e a tutti gli uomini di cultura.
Buona lettura.
" IRA "
Vedeste mai la ripida montana
Scender gonfio impetuoso fiume
L' onde frangendo in romorosa frana ;
Qual nunzio della giusta ira del Nume
Il piano inonda, e gli argini trapassa
Tra il cup' orror di tempestose brune ;
E mentre il tutto nel passar fracassa
Giunge superbo in tempestoso mare,
Dove confuso la possanz' abbassa ?
Ebben ! si puole a questo assimilare
L' Ira, che ancor nall' uom fa cruda guerra,
E per diverse vie lo fa peccare .
Ognun, chi più chi meno in questa terra
Ne sente la fatal cieca possanza
Onde fra l' ombra della colpa egli erra
Vedi colui, che mostra la baldanza
Di un Rodomonte, e la vil plebe abbaglia
Con di parole assai vana iattanza ?
Un iracondo egli è, che alla canaglia
Solo appartiensi della gente vile,
O d' ignoranti belve alla ciurmaglia .
Quegli, che tiene in petto irosa bile
Il vedi ora superbo e minaccioso,
Or vigliacco pregare in atto umìle ;
Che qual torrente altiero, impetuoso,
E' l' iracondo, che lo sdegno attuta,
Quando s' incontra in cuor più burbanzoso .
Si adira il Prence un dì, perchè temuta
Non è la sua possanza, o forse ancora
Perchè sua volontà d' altri si muta ?
Ebben ! Sia buono, e il suddito lo adora ;
Sia giusto e nello avere i saggi allato,
Tutto cammina dritto, e dentro, e fuora .
Ved' il Ministro, il degno Magistrato
Rendersi schiavo dell' irosa peste,
E sempre star col volto corrucciato :
Onde chi a lui ne va con umil veste
Ad implorar giustizia, egli discaccia
Come figliuol di genti assai moleste :
Ed all' insulto aggiunge la minaccia
Sicchè ad un tale spirito bizzarro
Non osa l' infelice alzar la faccia .
Del Campidoglio i mostri a voi non narro,
Caligola, Neron Domizio, e Varo,
Onde intento più in là l' occhio non sparro
Ridir le cose antiche il mio pensiero
Non è, ma solo il secolo presente
A me si affaccia minaccioso e fiero :
E veggio baldanzoso ed insolente
Renders' il ricco, il dotto, l' ignorante,
Il nobile, la plebe, il vil pezzente .
Vedi molesto, farsi ed arrogante
Quell' iroso dottor di medicina,
Che Ippocrate disprezza, e fassi amante
Della funeria mesta Libitina ;
Onde infelice chi v' incappa ! Spento
Egli cadrà la sera, o la mattina .
Veggio adirarsi ancora ogni momento
Quello di legge dottorello arguto,
Che si stropiccia sonnacchioso il mento .
Ei di Cuiacio polveroso e muto
Tiene il volume nello studio, e svolge
Lunghe memorie con un guardo acuto
Di tanto in tanto il guardo egli rivolge
Alle Pandette ; il Codice non cura
E del cliente suo poco si accorge,
Onde può fare al certo la sua ventura
Chi a lui si affida . La difesa è forte
Se un iracondo ne ritien la cura !
Ed è felice ancor di quei la sorte
Che ad iracondo giudice si affida
Alle sentenze od ignoranti o torte .
Egli si sdegna, e minaccioso sgrida,
E rischia i dritti d' innocente oppresso
Forse ai delirii di una mente infida
E ancor degli altri magistrati appresso
Dire vorrei gli errori ad uno ad uno
Se vengon d' ira molestati spesso .
Ma su le colpe lor mettiamo un bruno
Velo di oblio ; che forse ognun si emenda
Quando si accorge che non l' ode alcuno .
Ecco al mio sguardo ancor si offre tremenda
Ciurma di vili, ed iracondi spirti,
Che il mondo infetta di sua peste orrenda .
Vorrei più cose, alma iraconda, or dirti
Di quest' insani, e se parlar potrei,
Certo farei di tanti error stupirti .
Tu che fremendo, dei pensier più rei
Pasci la mente, e gonfio tien' il petto
D' ira, di sdegno, e di furor, chi sei ?
Un atomo tu sei, ombra, od insetto
Che sperde il vento, e fa tornar nel nulla
Donde il trasse di Dio l' alto intelletto .
A te che tutto sprezzi, entro la culla
Sorrise il niente, e l' accompagna bieco
Fino alla tomba, che ogni fasto annulla
Solo abitar dentro selvaggio speco,
Nido di belve, l' iracondo è degno,
Il suo furor portandone con seco .
Di un' alma vil soltanto è tristo segno
L' ira insensata ; che nel cor si accende
Dei Grandi sol magnanimo disdegno .
Della possanza imperial si offende
Il Guelfo, e freme il Ghibellino ardito,
Onde son l' ire delle sette orrende .
Vedi sdegnoso ancor morders' il dito
Quel forsennato di Lutero, e poi
Batter la guancia, dal furor tradito .
Taccio degli altri furibondi eroi,
Che mostran l' ira pur con modi strani,
E veggio altieri passeggiar fra noi
Sono di questi gl' intelletti vani,
Vile lo sdegno, e quindi giova dire :
" Andate via colà con gli altri cani !
Non atterrisce, no quel folle ardire,
Che voi mostrate in orgogliosi detti,
Che fan villana plebe in sè stupire
Sono iracondi assai quei giovanetti,
Che sol di donna seduttrice in seno
Tutti concentran gli amorosi affetti .
Allor che gelosia sparge il veleno
Nel cuor di questi, che non han mai pace,
L' ira non sente di ragione il freno
Onde alla Luna parlano, che tace,
Che dei delirii loro in sè si ride,
Quando li vede immersi nella brace .
E lo sfrenato giocatore uccide
L' ira che il cor gli strugge, allor che molto
Egli si fida delle carte infide .
Strilla bestemmia, e quasi avvien che stolto
Egli diventi ; chè fortuna ingrata
In altri luoghi ha suo favor rivolto .
Allorchè la sua moglie d' altri amata
Vede uno sposo, lo consuma l' ira,
Ma poi si placa se la vede ornata :
E gelosia sprezzando, egli sospira
Novellamente per l' infida : i pregi
Della bellezza sua stupido ammira .
Bontà non è che la memoria fregi
Di tanti vili, neghittosi, e tristi
Degni di oblio soltanto e di dispreggi .
Si adira il mercator ; perchè gli acquisti
Vengono meno della sua fortuna,
Di ladronecci e furberie frammisti .
Gira su l' onde, sue ricchezze aduna,
Infin che il soffio della sorte avversa
Poi le ritoglie, e sperde ad una ad una
L' ira del cacciator non è diversa
Quando per entro alla boscaglia insiegue
Libera belva dal timor dispersa
Ciurma di veltri, o di mastini siegue
Quella infelice : ed ei su l' orma incerta
Ansando forte il suo cammin prosiegue .
Oh la grand' ira della gente inerte !
L' ira di Bruto sembra, o di Gregorio
Anime grandi alle bell' opre esperta ?
Sembra lo sdegno dell' Eroe Sertorio,
Di Scevola, Camillo, e di quel dotto
Grande orator di Arpino, e di Vittorio ?
E' l' ira un mal, che il mondo ha già corrotto,
Onde di oblio si spandi eterno velo,
Dicendo a quei che n' hanno il cor sedotto :
Non isperate mai veder lo Cielo .
Buona lettura.
" IRA "
Vedeste mai la ripida montana
Scender gonfio impetuoso fiume
L' onde frangendo in romorosa frana ;
Qual nunzio della giusta ira del Nume
Il piano inonda, e gli argini trapassa
Tra il cup' orror di tempestose brune ;
E mentre il tutto nel passar fracassa
Giunge superbo in tempestoso mare,
Dove confuso la possanz' abbassa ?
Ebben ! si puole a questo assimilare
L' Ira, che ancor nall' uom fa cruda guerra,
E per diverse vie lo fa peccare .
Ognun, chi più chi meno in questa terra
Ne sente la fatal cieca possanza
Onde fra l' ombra della colpa egli erra
Vedi colui, che mostra la baldanza
Di un Rodomonte, e la vil plebe abbaglia
Con di parole assai vana iattanza ?
Un iracondo egli è, che alla canaglia
Solo appartiensi della gente vile,
O d' ignoranti belve alla ciurmaglia .
Quegli, che tiene in petto irosa bile
Il vedi ora superbo e minaccioso,
Or vigliacco pregare in atto umìle ;
Che qual torrente altiero, impetuoso,
E' l' iracondo, che lo sdegno attuta,
Quando s' incontra in cuor più burbanzoso .
Si adira il Prence un dì, perchè temuta
Non è la sua possanza, o forse ancora
Perchè sua volontà d' altri si muta ?
Ebben ! Sia buono, e il suddito lo adora ;
Sia giusto e nello avere i saggi allato,
Tutto cammina dritto, e dentro, e fuora .
Ved' il Ministro, il degno Magistrato
Rendersi schiavo dell' irosa peste,
E sempre star col volto corrucciato :
Onde chi a lui ne va con umil veste
Ad implorar giustizia, egli discaccia
Come figliuol di genti assai moleste :
Ed all' insulto aggiunge la minaccia
Sicchè ad un tale spirito bizzarro
Non osa l' infelice alzar la faccia .
Del Campidoglio i mostri a voi non narro,
Caligola, Neron Domizio, e Varo,
Onde intento più in là l' occhio non sparro
Ridir le cose antiche il mio pensiero
Non è, ma solo il secolo presente
A me si affaccia minaccioso e fiero :
E veggio baldanzoso ed insolente
Renders' il ricco, il dotto, l' ignorante,
Il nobile, la plebe, il vil pezzente .
Vedi molesto, farsi ed arrogante
Quell' iroso dottor di medicina,
Che Ippocrate disprezza, e fassi amante
Della funeria mesta Libitina ;
Onde infelice chi v' incappa ! Spento
Egli cadrà la sera, o la mattina .
Veggio adirarsi ancora ogni momento
Quello di legge dottorello arguto,
Che si stropiccia sonnacchioso il mento .
Ei di Cuiacio polveroso e muto
Tiene il volume nello studio, e svolge
Lunghe memorie con un guardo acuto
Di tanto in tanto il guardo egli rivolge
Alle Pandette ; il Codice non cura
E del cliente suo poco si accorge,
Onde può fare al certo la sua ventura
Chi a lui si affida . La difesa è forte
Se un iracondo ne ritien la cura !
Ed è felice ancor di quei la sorte
Che ad iracondo giudice si affida
Alle sentenze od ignoranti o torte .
Egli si sdegna, e minaccioso sgrida,
E rischia i dritti d' innocente oppresso
Forse ai delirii di una mente infida
E ancor degli altri magistrati appresso
Dire vorrei gli errori ad uno ad uno
Se vengon d' ira molestati spesso .
Ma su le colpe lor mettiamo un bruno
Velo di oblio ; che forse ognun si emenda
Quando si accorge che non l' ode alcuno .
Ecco al mio sguardo ancor si offre tremenda
Ciurma di vili, ed iracondi spirti,
Che il mondo infetta di sua peste orrenda .
Vorrei più cose, alma iraconda, or dirti
Di quest' insani, e se parlar potrei,
Certo farei di tanti error stupirti .
Tu che fremendo, dei pensier più rei
Pasci la mente, e gonfio tien' il petto
D' ira, di sdegno, e di furor, chi sei ?
Un atomo tu sei, ombra, od insetto
Che sperde il vento, e fa tornar nel nulla
Donde il trasse di Dio l' alto intelletto .
A te che tutto sprezzi, entro la culla
Sorrise il niente, e l' accompagna bieco
Fino alla tomba, che ogni fasto annulla
Solo abitar dentro selvaggio speco,
Nido di belve, l' iracondo è degno,
Il suo furor portandone con seco .
Di un' alma vil soltanto è tristo segno
L' ira insensata ; che nel cor si accende
Dei Grandi sol magnanimo disdegno .
Della possanza imperial si offende
Il Guelfo, e freme il Ghibellino ardito,
Onde son l' ire delle sette orrende .
Vedi sdegnoso ancor morders' il dito
Quel forsennato di Lutero, e poi
Batter la guancia, dal furor tradito .
Taccio degli altri furibondi eroi,
Che mostran l' ira pur con modi strani,
E veggio altieri passeggiar fra noi
Sono di questi gl' intelletti vani,
Vile lo sdegno, e quindi giova dire :
" Andate via colà con gli altri cani !
Non atterrisce, no quel folle ardire,
Che voi mostrate in orgogliosi detti,
Che fan villana plebe in sè stupire
Sono iracondi assai quei giovanetti,
Che sol di donna seduttrice in seno
Tutti concentran gli amorosi affetti .
Allor che gelosia sparge il veleno
Nel cuor di questi, che non han mai pace,
L' ira non sente di ragione il freno
Onde alla Luna parlano, che tace,
Che dei delirii loro in sè si ride,
Quando li vede immersi nella brace .
E lo sfrenato giocatore uccide
L' ira che il cor gli strugge, allor che molto
Egli si fida delle carte infide .
Strilla bestemmia, e quasi avvien che stolto
Egli diventi ; chè fortuna ingrata
In altri luoghi ha suo favor rivolto .
Allorchè la sua moglie d' altri amata
Vede uno sposo, lo consuma l' ira,
Ma poi si placa se la vede ornata :
E gelosia sprezzando, egli sospira
Novellamente per l' infida : i pregi
Della bellezza sua stupido ammira .
Bontà non è che la memoria fregi
Di tanti vili, neghittosi, e tristi
Degni di oblio soltanto e di dispreggi .
Si adira il mercator ; perchè gli acquisti
Vengono meno della sua fortuna,
Di ladronecci e furberie frammisti .
Gira su l' onde, sue ricchezze aduna,
Infin che il soffio della sorte avversa
Poi le ritoglie, e sperde ad una ad una
L' ira del cacciator non è diversa
Quando per entro alla boscaglia insiegue
Libera belva dal timor dispersa
Ciurma di veltri, o di mastini siegue
Quella infelice : ed ei su l' orma incerta
Ansando forte il suo cammin prosiegue .
Oh la grand' ira della gente inerte !
L' ira di Bruto sembra, o di Gregorio
Anime grandi alle bell' opre esperta ?
Sembra lo sdegno dell' Eroe Sertorio,
Di Scevola, Camillo, e di quel dotto
Grande orator di Arpino, e di Vittorio ?
E' l' ira un mal, che il mondo ha già corrotto,
Onde di oblio si spandi eterno velo,
Dicendo a quei che n' hanno il cor sedotto :
Non isperate mai veder lo Cielo .
05/11/11
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