29/12/11

Tradizioni natalizie

Le tradizioni delle feste natalizie a Bocchigliero (cs)
Tratto da: ENOTRIA 1931
di Don Giuseppe Scafoglio 1882  1936


1) La strenna di capodanno ai bambini.-Anche rispetto alle persone che ne godono, le feste natalizie a Bocchigliero sono tre: quelle di Natale vero e propio, per i nati dello stesso tetto; di Capodanno per gli estranei; dell'Epifania per le bestie.
   Il primo dell'anno è giornata di strenna: strina ricevono i bambini della strada più disinvolti, i dipendenti e specialmente i figli, in quella moneta sonante la quale, nell'anno, mai non toccano e che non può essere sostituita dai meno appezzati giocattoli, mancando, del resto, essi sul luogo.
  La strenna, specie tra il popolo, corre senza quella brutta   vecchia intermediaria, detta la Befana.
  Esseri misteriosi e fantastici con carattere più spesso di terribilità che di stupore, a Bocchigliero sono il negromante, la magara (strega), il puppu (fantasma indeterminato), il lupu mannaru (fantastica belva che corre e urla) ai quali -veramente strano- si deve aggiungere il trascurato Patrono, San Nicola, per gli occhi bovini fortemente espressivi di tutt' e due le statue.
 Con essi, ma più di casa, L 'agurìallu o monachìallu, genietto dispettoso per qualche momento, ma sempre caro, perchè foggiato sul carattere irrequieto e mutevole dei bambini di cui è, nelle vacanze dei dispetti, il familiare largitore di ogni più vistoso regalo dell 'anno.
2) E della vigilia ad ogni frotta di cantori. - La strenna, però, è regalo antimeridiano. Di diversa natura, invece, i doni, e diverse le categorie dei richiedenti della sera innanzi. Sono amici e semplici conoscenti, gruppi di ignoti magari, cui la carità non vuol discernere i tratti del viso.
   La tradizione cristiana qui si sarà sovrapposta alla pagana la quale, fra tante pazzesche invenzioni e furfanterie, aveva almeno trovato uno Zeus protettore dei forestieri e dei pellegrini.
   Per quest 'ultimi, quella sera, è sicuro un cestino di frutta ; cui si può aggiungere il vino nuovo e le fritture che vengon raccolte in bisacce a due bocche, di pelo di capra, dai fascioni chiari, che ne variano lo scuro del fondo, ovvero a linee disegnanti scacchi.
   Il dono si fa avanti la porta dove fu cantato ; ma qualche gruppetto di giovinotti più simpatico entrano fino al molto acceso focolare.
   Materia di canto, brutti versacci tradizionali ed altri più brutti dovuti improvvisare. Ad ogni persona che si individua nell'augurio, tocca la materia di un distico ripetuto. Per il capoccia, le finali di esso  saranno patrune (padrone) e cannatune  (boccale). La lingua batte, si potrebbe dire, dove l'ugula duole di arsura, non essendo il vino regalo sicuro come la frutta.
   Per la massaia, patruna si farà rimare con spurtune, anche perchè la lodata si alzerà tra breve, per ritornare con un cesto di fichi che, a Bocchigliero, a dispetto della sua altitudine di circa 900 m. ,mitigata dal Jonio, sono pregiati e abbondanti al par delle mele.
   Se la donna (madre, figlia, nuora, ecc. risentendo alla lontana della tribù, la famiglia) porta nome terminante in ina ,facile è la corrispondenza di un eguale suono, perchè le si augurerà di diventare, nientemeno che regina, non importa se, appena una volta la settimana, può concedersi un pò di carne di pecora o di non meno dura capra.
   Se nei canterini c'è timore che sfumi il beveraggio del vino, non si tarderà ad ammogliare, a gran voce, esso termine, con quello di cantina, la quale ultima parola sarà sostituita dall'altra entrata in festa, come dicono gli ecclesiastici, coi primi vespri, ossia strina, strenna. Ove poi uno degli aedi della serata vanti là dentro, il legame spirituale del battesimo o della confermazione con la massaia, altro sostantivo di fortuna sarà l'appellativo di parrina, padrina, e, per riflesso, pel capo famiglia, quello di parrinu ; buon termine d'attrazione anch'esso,per l'altro di vinu ; e  "qui potest capere, capiat ", sperando ripeteranno a lor modo, con S.Matteo, il quale, con questa battuta, si sbarazza del fastidio di aver diviso in categorie gli eunuchi.
   Fìgliu poi si accoppierà con jigliu, giglio ; sùoru, sorella, con trisùoru, tesoro ; nanna nonna, con manna, voce di ben noto liquido di pianta silana, non che liquido miracoloso delle ossa del predetto Santo Patrono : e piglierà il compagno dal morente capuddannu, ( capodanno ), nannu, nonno.
   Se poi il focolare ha il privilegio di vantare nientemeno che la " sacra fossa " - direbbe Omero - di un cavaliere, personalità di lungo metraggio, per un paesello, che tutti inchinano e temono, i versi stereotipati finiranno come nonpotrebbero meglio nel desiserio dei girovaghi, perchè al gran titolo di cavalieri si metterà a servizio di rima, una voce delle più idolatrate, bicchìeri :


                                  'M menzu ssa casa c' è 'nu bicchìeri
                                  brìnnisi fazzu a llu signor cavalieri ;


che vuol dire : in mezzo a questa casa c' è un bicchiere, brindisi faccio al signor cavaliere.
   Se la minuscola tribù è estesa fino a contare anche un chierico o prete, ( essendo raro in Calabria il prete solo, anche perchè costretto, pei servizi domestici, a non concedersi Perpetua, nome familiare, perciò, ai soli lettori dei " Promessi Sposi " ) un' assonanza, comunque stentata, si troverà, tirando in ballo paniere o panaru, il quale cercherà il corrispondente alla rozza musa, nel parolone cardinale.
   Pure lo scrivente, se ne va a casa in detti giorni, non corre pericolo di esser dimenticato, benchè in mezzo a famiglia piuttosto numerosa. Per lui, del facile distico rimerà a capello, don Peppinu, sempre con quel benedetto vinu ; mentre i vogliosi di apparire meglio informati delle occupazioni del festeggiato, cambieranno paragone anteponendo alla voce del liquido rubino o del meno apprezzato bianco, qualcosa di solido e astratto :


                                 'M mìenzu ssa casa c' è 'nu piatto 'è bon core,
                                 brìnnisi fazzu a don Perrinu 'u prufessore. 


I cucupi. -Il canto però, non si spande solo ; essendo accompagnato da un suono tutto caratteristico, che un improvvisato e facile strumento sprigiona. Basta possedere una marmitta, una boìte, un recipiebte qualsiasi vuoto, coperto da una pelle di tamburo bagnata di fresco e distesa e lagata intorno alla bocca, nel centro della quale stia ritta una cannuccia senza nodi, per estremità avvolta, anch'essa, nel mezzo della pelle cui sia non meno saldamente legata.
   Ora facendo andare su e giù la bacchetta con la destra umida di sputo e chiusa attorno a essa, e tenendo ben fermo sotto l'ascella sinistra il grottesco apparecchio, si ricava cupo come la sovrastante notte, monotono e burlesco, un suono.
   dall'aggettivo cupu o vuoto, una parola onomatopeica lo designa a Bocchigliero col nome di cupicupi, e in Campania con quello di putipù. Sul contrafforte dell'Arenzana, a Bocchigliero, cioè si adopera nelle sole feste natalizie o meglio, col calar delle tenebre della vigilia di capodanno; ricorrenza, tra le altre, più animata.
   Porta quel coso, il vantaggio della pronta costruzione e della nessuna spesa anche da parte dei bambini che, quanto a recipiente,se ne forniscono, asportando i bricchi alle cucine.
   Potrebbe servire la pastorale cornamusa; ma questa ha funzioni assegnate nelle ninne nanne e negli ozi degli idilli campestri;mentre per la ricorrenza chiassosa di cui è parola, un apparecchio grottesco prima a vedere, poi a sentire, è meglio indicato.
   Nell'oscurità del freddo solstizio, in serate le più adatte a racconti di millenaria canizie, altri dolci, altri spaventosi, con la fantasia piena di agurìalli, monachìelli e lupi mannari, col ricordo di magi misteriosi di più misteriose contrade, il cavernoso rumore ora più ora meno forte, ma sempre monotono e spezzato, quasi a burleschi singulti, e inteso appena una volta ogni tredici lune, con comitive egualmente annuali, e col canto a ritmo lento e melodico però, sostituisce senza rimpianti quanto di meglio non si sente e vede; sebbene, con le frotte più civili, comincia a essere scacciato da qualche violino, mandolino e chitarra francese in accompagnamento.
   La comitiva meglio ospitata.- Dopo cena giunge invece, qualche frotta che merita o pretende maggiori attenzioni. Le altre comitive furono contentate piuttosto in fretta; con l'ultima, si è più espansivi, giacchè con essa vorrà indugiare la famiglia, la quale, non avvezza a perder tempo utile di questa buona occasione, nell'ambito caldo e festante della civitas domestica, fuori della quale è l'orrido della notte lunga nella sua prima vigilia.
   Per questi amici o buontemponi di sesso esclusivamente maschile, si porta innanzi quanto di meglio si possiede; chè l'occasione, se si presta a gradire gli estranei, anche ai padroni offre di ostentare la propria agiatezza.
   Col buon cuore per gli altri, secondo il detto :
                                     Pe l 'amici jette la casa  ' n terra
                                    ( per gli amici getta a terra la casa, dilapida),
e il forte amor proprio, solleticato a ben figurare, vengono avanti le migliori ceste di frutta di alta collina che, nella giornata furon sottratte alla leggera protezione delle felci avvizzite e polverose dello stramatu (solaio) ; e poi, i dolci paesani di casa propria, tra cui quello a basa di miele d'uva, accennato nel penultimo articolo, e i torroni di larga e piatta scatola di Reggio e della Sicilia ; dopo avere,  però, dato esca all'arsura con le non meno riposte sopprassate, gareggianti in grossezza di lacrime col vicino granello bruno e forte del torrido tropico, il quale vi fu sparso abbondante e intero ;e serbando alle esplosioni di meraviglia e alle frequenti oscillazione dell'ugola il capeccùollu, (in Romagna detto coppa), che si ammucchia, in dischi rosati e carichi di intenso profumo ; e il massiccio prosciutto, infine, che la generosità ospitale presenta spesso omericamente intero per la consolazione di vederlo attaccato nella sua stessa base, e poi affondato nel vino ardente .
   Con le visite rare, la cordialità è in proporzione. Il galateo, quanto a visite nelle famiglie, è chiaro :
                                   Si vu' sedire duve sede issu,
                                  (se vuoi sedere dove siede lui)
                                   ' U ' nci jire allu spissu.
                                   (non andarci spesso)
   E la comitiva che questo sa ed à osservato nell'anno, per la letizia raggiante su tutti i volti, il grosso e chiassoso numero che meglio affranca ad ogni residuo di soggezione, e la stagione e l'ora tenenti bordone, non perde davvero tempo a rinfrancar gli spiriti con cibi e bevande prima, a non voler restare in cervello poi.
   A serata conclusa, infatti, diventano otri capaci ; rubicondi sguatteri che abbiano soffiato sul fuoco, secondo il motto che s'indirizza a una spugna di bevitore :
                                    Pari ca ha ' jujatu 'u fuocu!
                                    (sembra che tu abbia soffiato sul fuoco)
automi così 'ntorganati (empiti) e 'ntatarati (pieni di feccia) ; in possesso inalienabile di certe spatrunate (sbornie) che, per lo sbilancio delle some, li fan procedere verso le rispettive dimore, con la balbuzie scesa, diciamo così, dalla lingua  alle gambe in modo da scambiarli per un gruppo di torri pendenti.
   5.  Il pranzo e il tripudio della vigilia di Natale a sera.
Ultima delle tre, l'Epifania, la seconda festa intima della famiglia la quale, volentieri, vi associa i suoi schiavi e fidi compagni di presepe.
   E la festa, più che il giorno dell'apparizione del signore, cade la vigilia a sera, come per il Natale.
 Mentre nell' Italia settendrionale, la vigilia di Natale sguscia monotona e incolore come una qualsiasi serata d'inverno, in
                               "quel corno d 'Ausonia, che s' imborga
                                 Di Bari, di Gaeta e di Crotona,
                                 Da dove Tronto e Verde in mare sgorga",
è tutt' altro sentire.
   Senza sconfinar dalle prescrizioni della Chiesa, la sera della vigilia è solennissima per tripudio di cuori e per imbottimento dell' epa.
   A mezzodì si cenò, parcamente sulle once rituali; ma, sin dalla mattinata,e , con accellerata lena nel pomeriggio, si fu, più o meno tutti in faccende per le due ecatombidella tavola del ventiquattro a sera e del mezzo corso solare del dì seguente.
   Avvine ciò per maggiore simpatia alla vigilia, secucente più della festa, secondo il gusto leopardiano? O è abitudine di popolazioni già governate dalle tre effe borboniche, di cui la prima e seconda sono sigle di festa e farina?
   La spiegazione è ineve quest'altra, forse, che il culto intenso del focolare, più che mai, in occasioni tanto solenni, concilia gli animi ad un'esplosione d'intima gioia tra le sue tre volte sante pareti, rischiarate dalle alte lingue della buona e bella legna, cercata talora personalmente nel proprio bosco, e fatte liete dal supersite Lare, l'Agurìellu o Monachìellu, sul quale si solleva,  vincitore, Gesù, Lui pure bambino.
   La sera del ventiquattro, dunque, si mangia e si beve, come suol dirsi, a trippa strazzata, da lacerarne il ventricolo; e poi, si torna a mangiucchiare e a sorseggiare, giocando a tavola anche, provocando fragori di petardi e di fuciferre o cacafùochi (vecchi fucili) fino al suono dei sacri bronzi i quali, avvertono che, a mezza notte in punto, occorre lasciar digiuno il corpo a quanti, passeranno, poco dopo, al cibo della mistica mensa.
  6. E il tripudio e le leggende di quella dell' Epifania.
Similmente nell'Epifania, ore più belle, quella della sera innanzi, anche per il fatto che gli uomini, meno gravati da cure o frenati nel girovagare, restan coi propri in più lunga dimora, non soffrendo queste adunate le abituali assenze di nessun componente, proprio come la messa convertuale cui deve assistere tutta una comunità, ogni mattina.
   Bella e gentile la serata del 5 gennaio, per il senso di pietà che accosta più del consueto, i padroni alle proprie bestie, remunerative ogni giorno e buone : il bue col giro degli occhi pazienti e la forza dei muscoli, per esagerazione di bontà, portati fino alle corna; l'asinello adatto non sai se più alla soma del peso o a quello delle bastonate ; la gallina largitrice di attesi botticini di bianco e di rosso, in ricambio del pugno di granoturco gettatole in anticipo ; il cane infamato per un' ingordigia emula, se non minore, di quella dell'uomo, suo padrone, dal quale nemmeno i crampi per fame, riescono ad allontanare ; il gatto per l'attaccamento alla casa, anche se fraintende a crederla tutta sua. Buon diavoli tutti, tranne nella loro notte privilegiata di cui si avvantaggiano senza riserve ad essi nocive.
   Se l'avarizia altrui, anche in quella solenne ricorrenza, non tien conto dello scrupoloso servizio annuale prestato, con offerte di cibo scelto e abbondante, scioperano e diventano incendiari o spartachiani. Ripresa, magicamente la natura selvaggia di cui si spogliarono a tutto beneficio dell'uomo, sgroppano fin l'ultimo rimasuglio di domesticità, e, sollevati all'altezza degli umani nel dono di improvvisa chiara favella, - esiziale agli uomini ascoltare - concertano l'imminente morte dei tiranni.
   E perchè il gran diritto di quelle ore contate non scada, ne profittano per quello che di meglio san fare : un viaggio nelle selve per apprestare, pel mattino seguente, - a sterminio di tutta la famiglia - gli assi occorrenti dei quali si caricheranno in quella notte doppiamente nera.
   Sarà, intanto, per la schiena di tutti quella fatica? Si capiscono l'asino e il bue, nati a quei trasporti ; si posson comprendere anche i lanigeri animali minori i quali, se avvinti a due e a tre, come quelli dell'uccellato Polifemo, posson cavarsela per le assi leggiere dei bambini ; ma, come intendere, fuori del pollaio e della cucina, l'utilità dei piccoli compagni, del gallo, per esempio?
   Se pensiamo, però, a Tirteo che, pur minorato, valeva benel'oplite dorico più gagliardo, il dubbio s'acquieta.
   I padroni tirchi, al vaglio di tanto pericolo,piegano il capo accostandosi con colme misure e lieto volto,per accingersi dopo, alla più lieta fatica della propria nutrizione o satollamento che sia, non senza ricordarsi, negli allegri parlari, degli schiavi di casa.
   Come in agosto e in novembre scendono dal cielo piogge di stelle filanti, la sera del 5 gennaio sono i focolari caldi e affollati che mandano in senso inverso i guizzi delle sbrigliate fantasie, in quanto le famiglie ci tengono a lasciare nell'invisibile libro dei ricordi, la buona memoria dell'occasione fuggente.
   E' la sera dei piccini in particolare, a cui mpùnnanu u pane ( inzuppano il pane) volentieri anche gli adulti. Di solito è il più vecchio a esser creduto.
   Per venire alla conclusione che il bue e l'asinello fecero quanto mai opportuna compagnia al Re del mondo umiliato nel presepe, comincia col ricordare, a sua volta, l'avo il quale 
                                       ....nel parlar soleva inducere
                                       i tempi antichi, quando i buoi parlavano
                                       chè ' l Ciel più grande allor solea producere.
 E' la festa dei desideri inappagabili che, sotto la guida della speranza, dea necessaria, si vogliono vedere in un sogno ad occhi aperti. I corsi d'acqua i quali, accessibili a tutti, precipitano per inalterata vicenda, dai dirupati recessi alle ampie pianure, si spassano, le folle di sognare, una sera nell'anno, cangiati per opera d'incanto, nei liquidi necessari e costosi : l'olio, il latte, il vino, il miele :altrettanto dicasi delle vigne nel gran pavese di una seconda vendemmia, e del pane, per cui l'umanità ingaggia battaglie.
   Questo vitale nutrimento giornaliero, nella notte dei prodigi, lavorano le più affusolate e delicate mani di eteree fanciulle, lassù, sopra le nuvole a cumuli bianchi. Ma la località privilegiata è, per quella volta, anche in terra e così vicina, che, allontanandosi di qualche lega, con quel freddo cane, se ne può aspirare la fragranza e indovinare l'oro del colore e il suono della freschezza.
   Che più? I dami coraggiosi possono andare a intrecciar dolci nodi di durevole amore con quelle gentili creature.
   Si sogna oggi in Calabria e fuori; si sognò con eguale avidità decine e decine di secoli dietro. Il millantatore dei Turiopersi rappresentava comicamente la strordinaria fertilità della terra di Turii, grazie al Crati fluitante grossi pani che la corrente - oh! meraviglia! - impastava da sè ; e gli faceva pendant il Sibari, con rigurgitanti rivoli di seppie arrosto, acciughe, gamberi, fritti, umidi, salsicce : cuccagna fatta più vasta dall'etere generoso che lasciava cadere non solo intorno e non più lontano dai piedi, ma in bocca, arrosti e pan buffetto.
   O pane dalle millanta battaglie, che col vino riempite di voi le mense domestiche e sacerdotali, se veniste modicamente abbondanti per davvero e per tutti !
  






















25/12/11

Natale 2011

                                La redazione di Bocchigliero Oltre, augura un sereno e felice Natale.

15/12/11

L 'ACCIDIA 7° di Leonardo Mazza da Bocchigliero

Questo è l'ultimo dei vizi capitali di Leonardo Mazza, abbiamo voluto pubblicarli, per far conoscere a tanti, ma soprattutto ai bocchiglieresi questo personaggio straordinario che nel 1800 scriveva in questo modo.
Buona lettura.

 
   Accidia  

Ultimo a dir dei sette capitali
   Vizii, che in questo di miseria albergo
   Ancora infetta il cuore dei mortali,
Accidia è desso, a cui non forma usbergo
   Della solerzia la virtude attiva,
   Onde i corifei suoi nel fango immergo.
E' l 'alma di costor di vita priva,
   O quale pianta a vegetar sol nata,
   All 'impulso del senso si ravviva.
E' un alma accidiosa al mal niegata,
   Ed è per fare il ben 'ella incapace,
   Onde nell 'ozio vive abbandonata.
Sia che si freme in guerra, o gode in pace
   Poco sen cale, dall 'accidia infetto,
   Spirito codardo a nulla far capace ;
Della virtù non sent 'egli l 'affetto,
   Nè il vizio abborre ancora, onde un macigno,
   Di vita privo, rassomiglia il petto.
Drizza lo sguardo, ahimè ! con viso arcigno
   Verso gli onesti a fare il bene intenti,
   Ed i codardi poi guarda benigno.
Sempre nell 'ozio scorrono i momenti
   Di queste accidiose alme codarde
   Prive di duol di speme, e di contenti
D 'accidioso in petto amor non arde
   Di gloria onesta, che fa l 'uomo ardito,
   E spinge alla virtù l 'alme infingarde.
A lui nel nulla immerso ed avvilito,
   " Di te memoria non avrò giammai ! "
   Scrive la Fama coll 'eterno dito:
S 'eclisseranno della vita i rai,
   E su la tomba tenebrosa e muta
   Il disprezzo e l 'oblio da tutti avrai.
Accidia ogni voler dell 'uomo attuta,
   E a lui toglindo il cuore, e la ragione,
   In insensata pianta lo trasmuta.
Ei privo e di pensiero, d' azione
   Vive qual bruto a vegetar sol nato,
   E all 'ombra d 'ignoranza andar carpone,
Vedi quel Prence, che sul trono aurato
   Altier seduto, sonnacchioso il freno
   Del suo governo ai confidenti ha dato?
Ed ei di un ozio vergognoso in seno
   Vive, qual uom, cui nulla cura preme,
   Onde il tempo per lui scorrer sereno?
In lui germoglia dell 'accidia il seme;
   Sicchè dall 'ozio vinto, e non curanza
   Egli a sè stesso è di gran peso, e geme.
Spesso di accidia senton la possanza
   Pigri Ministri e sordi Magistrati
   Grandi soltanto in ostentar baldanza.
Ecco li veggio sul Divan sdraiati
   Fumar di Avana i sigari odorosi,
   E degli oppressi non curare i piati.
E dall 'accidia fatti sonnacchiosi
   Molti Prelati veggio, e sacerdoti,
   Soltanto in arricchir fatti bramosi :
Della pigrizia fatti, ahimè ! devoti
   Lascian di Dio l 'altare in abbandono,
   E volgon sempre al Nulla i loro voti.
Da questo vizio ancora infetti sono
   Dei Frati immersi in odorosa broda,
   Di popolar pietà funesto dono !
Chi mai di questi la infingarda loda
   Vita, che inutil scorre in questa terra
   Ed all 'infamia poscia si rannoda?
V 'ha chi dall 'ozio vinto si rinserra
   Nei sacri chiostri onde menar la vita
   Luingi dal mondo, e con sè stesso in guerra.
Sicchè una ciurma inutile stordita,
   Veggiam di frati ed eremiti e suore,
   Solo nell 'ozio immersa ed avvilita .
Questi codardi, che non hanno cuore,
   Hanno obliato, che il figliuol di Dio
   Facendo il bene in su la croce muore.
Chi per oprar non sente in cuor desio,
   E volge intorono timorso il guardo,
   Degno è soltanto dell 'etern 'oblio
 V 'è chi si avanza poi con passo tardo
   Nell 'angusto sentier della virtude:
   Ove non giunge mai cuore infingardo.
E con l 'ipocrisia il volgo illude
   Quando lo vede fare il collo torto,
   Falso segnal di chi pietà non chiude.
Quell 'avvocato, che nell 'ozio assorto,
   Lasciando i libri polverosi e muti,
   Nella pigrizia trova il suo conforto,
Vede i clienti suoi mesti abbattuti
   Piatire invano, e dimandar difesa,
   Quando i lor dritti veggono perduti ;
Figlio di accidia è desso, al quale pesa
   Leggere i fogli dell 'umano dritto,
   Del  jus delle genti, o della Chiesa.
Ond 'ei di Modestin sprezza lo scritto
   Di Paolo, di Pomponio, egli non cura,
   E il Codice osservar tiene a delitto ;
Sicchè del suo cliente la sventura
   Poco gli preme, e tristo l 'abbandona
   Gemente in fondo di prigione oscura,
E l 'ignorante popolo canzona
   Quel verboso dottor di medicina
   Che il tutto sprezza e vive alla carlona .
Onesto adorator di Libitina
   Vende sue ciarle a stupida plebaglia
   Nei trivii, e nei quadrivii ogni mattina .
A Galieno, o Ippocrate si agguaglia,
   E disprezzando i suoi colleghi ei tenta
   Far che la fama sua nel Cielo saglia
Vana lusinga !Non chi gloria ostenta,
   E' degno della gloria, e non è dotto
   Chi solo al volgo il suo saper comenta .
Solo nell 'ozio viv 'egli corrotto,
   E disdegnando i libri, a tutti mostra
   Esser da impuro vizio il cor sedotto .
Quindi, ( sventura della stirpe nostra ! )
   Ognun d 'innanzi a bestia petulante,
   Onde farsi scannar la fronte prostra .
Un farmacista pigro ed arrogante
   E' un braccio del dottor, onde con esso
   Mandare all 'Orco il popolo ignorante .
Dalla pigrizi 'ancor veggiam 'oppresso
   Quell 'indolente stupido notaio,
   Inutile pel mondo, e per sè stesso.
Arruginito ei tiene il calamaio,
   E non facendo un istrumento all 'anno,
   Solo dell 'ozio egli è maestro ed aio.
Lungo le vie girovagando vanno
   Quegl 'insensati giovani studenti,
   Cui son di peso i libri, eppur di affanno.
Spensierati li veggio, ed insolenti
   Fare la corte alle bellezze infide
   Di giovinette scaltre, seducenti.
Ognun di questi del maestro ride,
   Sprezza lo studio come inutil cosa ;
   E leggi e medicina egli deride.
Nell 'ozio egli soltanto si riposa,
   E caccia, fumo e donne da bordello
   Sono i pensieri dell 'alma accidiosa,
Ahi serva Italia di dolore ostello !
   Vedi, l 'accidia i figli tuoi consuma,
   E invan li desti a glorioso appello !
Dove ne andàro i tempi del Re Numa !
   Dei Fabii, dei Camilli, e Scipioni?
   Disprezzator della tedesca bruma?
Dove gli Ortenzii, i Giulii, Ciceroni?
   I Ludovici ; e Pellici, gli Alfieri?
   Dove i Parini, i Danti, e i Goldoni?
Son già mutati i tempi, ed i pensieri !
   Inerzia è sol di noi crudo martìro :
   E il genio è spento degli Eroi primieri.
Non più di gloria in cor sentiam desiro ;
   Solo viviam di grandi ricordanze,
   Guardando i tempi, che per noi spariro.
Oh d 'alme vili stupide jattanza !
   Chè giova ricordar merti degli avi,
   Se i nostri merti son cieche ingoranze?
I nostri artisti ancor son fatt 'ignavi,
   Onde li veggio inerti, e vagabondi
   Volgere al Nulla gl 'intelletti pravi :
E di fanciulle i lupanari immondi
   Pieni veggiam, per far turpe mercato
   Dell 'onestà con att 'inverecondi.
Che più dirò? Dall 'ozio ogni peccato !
   Perciò quegli, che a lui la fronte abbassa
   Porta d 'infamie il cor sempre macchiato :
Onde di lui diciam : Guardalo e passa !

08/12/11

Lettera aperta a Gesù Bambino ........tanti anni fà


Caro Gesù Bambino, millenovecentosettantasei anni or sono, nello scendere per la prima volta sulla terra, hai portato un messaggio "Gloria nel più alto dei Cieli e pace agli uomini di buona volontà".
Sei voluto nascere in una grotta, forse per far capire agli uomini che la migliore delle virtù è la modestia, ormai anacronistica nel contesto del vivere umano, così come l'onestà, la giustizia, la legalità, la coscienza, la bontà, relegata nell'angolo più polveroso dei ricordi del passato.
Ma perchè non mandi la Stella che ha guidato i Re Magi alla Grotta della umiltà, ad illuminare le menti di quanti, seguendo la scia del guadagno per il guadagno e del facile arricchimento, hanno  perduto la strada della Grotta e imboccata quella del danaro.
E non dirmi che quella stella ha perduto la sua luce per i troppi anni che sono passati, perchè per uscire dal buio in cui viviamo, ne basta una che dia luce quanto una candela.
Così che, i presidenti vedano che sono troppe le corone ed i telegrammi inoltrati alle famiglie di chi con troppa facilità cade. Così che, i politici, i sindacalisti, i governanti, i responsabili della cosa pubblica, riescano a vedere il caos che hanno creato, le storture che ci circondano, l'abulia che regna padrona in ogni angolo del nostro Paese, il lassismo, il permissivismo, la prepotenza in ogni ceto ed in ogni classe, che sono divendati l'abito mentale dei più, un punto di merito, la punta di diamante per essere Qualcuno.
Così che, chi vuole sanare, o finge di farlo, l'economia dello Stato veda che è impossibile farlo col solo sacrificio delle classi meno abbienti, mentre nulla si chiede, o quasi, a chi ha.
Ricordando, evidentemente, il Padula il quale diceva:" Chi ha,è,e chi non ha, non è".
E dimenticano che non è stato il popolo minuto a rosicchiare lo Stivale, con preferenza per il Piede, perchè nudo ed indifeso da quando, per convenienza è stato attaccato allo Stivale.
Così che, questo vivaio di braccia e di voti a poco prezzo, che è il Sud, veda il tradimento continuo che si stà perpetranto sulla sua pelle da oltre un secolo e a tutti i governi che si sono succeduti, fino a questo attuale.
Così che veda ancora questa generosa gente di Calabria, che a più viene negata la bellezza delle loro montagne, dei loro laghi limpidi, dei loro mari azzurri, per andare fuori a cercare lavoro, umiliazioni e nostalgia, come se nella loro terra non ci fosse spazio sufficiente per costruire posti di lavoro e le possibilità naturali per esportare i manufatti,ma solo quello per costruire centrali elettriche la cui energia come le braccia, serve ad altri; o come se non fosse stata questa, "terra urbertosa", la patria maggiore dei greci: La Magna Grecia.
Così che, gli Uomini di Buona Volontà a cui va il mio saluto ed il mio augurio sincero, possano vedere chiaramente e sicura la strada da percorrere per arrivare al Faro della Grotta, e da questa continuare il cammino intrapreso.
                               Emilio Benincasa
Questo è un pezzo di un giornale che veniva pubblicato a Cosenza e impaginato a Bocchigliero e si chiamava  "L'informatore Calabrese". Ci è sembrato ancora attuale, e presto pubblicherermo altri pezzi altrettanto attuali. Questo è tratto da: Anno II N°1 Gennaio 1977.

04/12/11

Corruzione.......e Oltre


Rosa canina silana
Sembrava che dopo tangentopoli, l'Italia potesse vivere un periodo più tranquillo, invece così non è stato, pare che, la corruzione continua, da Milano a Reggio Calabria , gli ultimi avvenimenti hanno evidenziato come la politica è in affari con la malavita organizzata e di quella con i colletti bianchi. In Calabria come in Lombardia, molti politici indagati e incarcerati, in Calabria anche avvocati e notai. La corruzione imperversa  là dove ci sono interessi economici forti, soldi soldi e ancora soldi. Pare, la notizia è di questa mattina, che la moglie di un giudice di Reggio Calabria, nominata responsabile della asp di Vibo Valentia, debba restituire i soldi, bene ma come poter porre freno alla corruzione dilagante da nord a sud?? questa è una domanda alla quale,noi, non sappiamo dare risposta. Un avvocato di Palmi (rc), tale  Vincenzo Minasi, si vantava di conoscere tutte le famiglie mafiose della piana di Gioia Tauro e non solo, si vantava di aver fatto chiudere una clinica a Crotone per poter fare una tac alla moglie, questo grazie alle sue conoscenze con famiglie mafiose del crotonese, ciò è palese che il denaro non è sufficiente, ma ci vuole potere, l'uomo ha necessità di potere, di forza nel penetrare, anche se tutto è stato penetrato, infatti il cardinale Bertone, mentre ritirava il premio Giovanni  Paolo II a Reggio Calabria, non risponde, quando le viene chiesto come mai la chiesa ha dato una onorificenza di cavaliere a un mafioso calabrese, risponde dicendo, che ha fiducia nelle istituzioni dello stato e noi aggiungiamo quando queste non sono corrotte.


02/12/11

2 Dicembre 1927.....Auguri Mamma!..

Oggi 2 Dicembre 2011, tu mamma compi 84 anni, cosa augurarti, felici gli anni avvenire, e che tu possa viverli in serenità, pace e salute. Ma volevo approfittare di questa occasione per ringraziarti per tutto quello che hai fatto per noi... mi ricordo quando al mattino ci svegliavi, a Parma ,per andare a scuola e tu, libera, potevi ricamare i tuoi meravigliosi maglioni d'ancora, che andavano anche in America. Avevano un difetto quei meravigliosi maglioni; odoravano di frittura, per che tu, durante una pausa correvi in cucina per preparare la cena, e spesso friggevi. Poi al mercato di via M. d'Azeglio, a Parma, ti chiamavano "la napoletana" o Anna Magnani. ricordi bellissimi con una mamma meravigliosa, la più bella del mondo.  Grazie ancora mamma!!!!!