28/04/11

Confronto... crescita, rispetto, conoscenza e Oltre




La politica è tanto, e forse di più non abbiamo la pretesa o l'ambizione di rispondere in maniera
esaustiva alla fatidica domanda: Cosa è in realtà la Politica??. Certamente la capacità di progettare il futuro dei popoli, e poi la capacità di viverla con passione, con dedizione, con onestà intellettuale e con grande capacità di ascolto. Certo è che la Politica da molto tempo non è più questo, ma mero interesse personale o di parte, senza riuscire ad essere quella che dovrebbe essere.Come apprendere l’arte oratoria? Cicerone diceva:
 La parola è segno distintivo dell'umanità e radice della sua capacità di interagire col mondo. Se a ogni cultura la parola in qualche modo interessa, in un mondo come il nostro, sempre più basato sulle opportunità offerte da una buona comunicazione, Cicerone si rivela, a sorpresa, ancora attuale. Lo mette bene in rilievo Paolo Marsich, il curatore di questo L'arte di comunicare che ha tutte le qualità per accattivarsi i lettori: è breve, agile, scandito in capitoli ben definiti, in una parola «leggibile». Quello della «leggibilità», discutibile parola tanto frequente in quarte di copertina e comunicati stampa, sembra essere il miraggio degli editori contemporanei, ed è il corrispettivo di una «comunicabilità», per così dire, di una capacità di spendere le proprie risorse per la buona riuscita di un discorso orale. Nel nostro tempo, come osserva Marsich, la parola comunicazione è diventata non certo sinonimo di un'arte, ma una sorta di specchietto per le allodole: «imperano» scuole di comunicazione, escono manualetti, anche scolastici, che pretendono di insegnare attraverso tecniche spicciole, in poche facili lezioni, la capacità di esprimersi bene in pubblico, convincendo i propri ascoltatori senza porsi il problema morale di ciò che viene loro proposto. Ebbene, alcuni di questi (come quelli che suggeriscono delle «tecniche» per assemblare un tema), hanno attinto dai trattati di Cicerone, ma snaturandone le intenzioni autentiche e ignorandone l'etica sottesa.


Completamente diverso è infatti l'approccio di Cicerone, che data ormai quasi duemila anni fa: l'oratore non è un semplice «persuasore occulto», come diremmo noi, ma una persona innanzitutto fedele a una propria etica irrinunciabile, fondata sugli stessi valori che fondano anche la res publica e lo stato libero. È fondamentale, poi, che un buon oratore sappia molte cose, cioè abbia ampie conoscenze in diverse discipline, perché il suo parlare non sia meccanica ripetizione di concetti raffazzonati in fretta e senza basi. Altro aspetto fondamentale: la predisposizione, perché nonostante l'esercizio giovi se non ci sono doti naturali è ben difficile raggiungere l'eccellenza. Queste teorie basilari, tratte principalmente dal trattato in forma di dialogo De oratore, presuppongono nell'autore un'idea molto precisa anche del ruolo che questo personaggio complesso e impegnato doveva avere, e anche il fatto che la sua attività oratoria, non finalizzata alla gloria ma al bene comune, doveva svolgersi necessariamente dentro uno stato repubblicano. Solo in una repubblica dunque, come quella che Cicerone aveva sempre difeso contro i diversi tentativi di trasformarla nel «governo di uno solo», poteva nascere e prosperare una simile figura, che nell'arte della parola faceva confluire rispetto per lo stato, senso di giustizia, sincera volontà di migliorare i propri ascoltatori, capacità di sacrificio. Forse troppe qualità in una sola persona? Può darsi, ma l'oratore ideale che Cicerone aveva in mente era molto simile a lui stesso: che infatti lottò contro il malgoverno in Sicilia di Verre, contro il tentativo di colpo di stato di Catilina, si schierò contro Cesare perché credeva Pompeo il vero garante delle libertà repubblicane. Infine commise l'errore che gli fu fatale credendo nelle buone qualità politiche di Ottaviano, contro l'avidità di potere di Antonio. Quest'ultimo, nel breve periodo in cui si alleò con l'avversario, non fu altrettanto clemente di Cesare e fece uccidere Cicerone, nel 43 a. C. Quindi lui stesso fu coerente fino alla propria fine, coltivando con l'oratoria un ideale di vita, un sogno di civiltà. Perché «non c'è nulla di più nobile che riuscire a catturare l'attenzione delle persone con la parola, […] e questa è l'unica dote che presso tutti i popoli liberi […] ha sempre ottenuto riconoscimento e valore».                   Cicerone      "Larte di comunicare"
















































25/04/11

Il Rosso e il Nero.......LIBERI!!!!

Oggi,come tanti anni fa ,l'Italia venne  Liberata da un dramma che continuava da due lunghissimi anni di guerra cviile, di una mancanza di identità nazionale che, con l'8 settembre del 43' aveva spaccato l'Italia in due, la Repubblica di Salò, da un lato e i Partigiani dall'altro. Ma la maggioranza degli Italiani non stavano da nessuna delle due sponde, erano pervasi da un senso di insicurezza e di non identità, e propio a loro che va il nostro rispetto e la stima di  noi ,gelosi, orgogliosi custodi della nostra ITALIANITA'                                                         

20/04/11

FOLKLORE



Panoramica del rione "destra" di Bocchigliero
 Molti anni fa, esattamenta qualche anno prima della processione vivente, su un giornale, a diffusione regionale,
 veniva pubblicato un articolo sul Venerdì Santo a Bocchigliero.


                                          CALABRIA
                           
                            "Un suo angolo e il suo folklore"


                             Il Venerdì Santo a Bocchigliero
 
Sul lago Cecita, a 12 chilometri a nord est di Camigliatello Silano, si imbocca la statale 282 per la Fossiata. Qui un segnale indica Bocchigliero a 29 km. La strada è una delle più belle di tutta la Sila, con un fondo solido e scorrevole.Si snoda nel cuore dell'altopiano Silano,attraverso pinete di un verde senza pari e vallate silenziose e antiche che invitano al riposo e danno libero sfogo alla fantasia.E' facile,infatti,in queste vallate a mò d'anfiteatro naturale,vedere gli antichi Bruzi affrondare gli Osci o i vicini Morgeti,oppure vederli cariche di bottino razziato alla potente Sibari o alla piu antica Crotone,qui' rifuggiarsi.
Sono vallate che osservate,ad esempio,da Pettina Scura o da Isco Serrato lasciano senza respiro anche chi é avvezzo a simili spettacoli.Dopo questa passeggiata,tra tanto verde,tanta storia e tanta pace si arriva a Bocchigliero,costruita sui resti di Arento,città Bruzia.Si stende sul dorsale di una delle ultime propagine della sila...area e clima sono migliorati dalle splendida è lussureggiante vegetazione di castagne e di querce che incorniciano l'abitato di un verde intenso dove l'occhio riposa.
E' qui che ogni anno,nel pomeriggio del Venerdi Santo,dalle chiesa madre,esce la processione preceduta dal Cristo  vivente: un uomo vestito con una tunica rossa,con una corona di spine sul capo e con sullle spalle una voluminosa croce di legno. Vieni sospinto lungo la Via Crucis dai Giudei,vestiti con tuniche bianche e armati di picche,di spade,di lancie e di attrezzi atti alla crocefissione.
L'uomo che porta la Croce ha nome Saverio,come Saverio si chiamavano tutti coloro che lo hanno preceduto.
L'intera popolazione con devozione antica,segue il Cristo Vivente per le strade,intonando inni sacri. E' raro vedere tanta maestria quanto il Cristo ne impiega a portare la grande croce e nel cadere sotto di essa la prima, la seconda e specialmente la terza volta.
Curvo sotto la croce nera, affronda le vie del paese tra due ali di folla.Vieni spinto da Giudei che insistono sulla croce, le cui spinte fanno roteare il Cristo che stenda a reggersi in piedi, ai posti obbligati che sono segnati da una grossa e vecchia croce di legno, é una spinta piu forte che lo fa cadere, dopo una serie di sbandate e la perdita dell'equilibrio.Il Cristo è seguito da una bella statua di Madonna vestita a lutto, l'Addolorata con tanta mestizia sul suo volto espressivo da commuovere. La statua è portata a spalle da donne che vestite con abito da "Addolorata" incantano (pagano per portare la statua)fino a quanto un "incanto" superiore non venga a sostituirle.
Altre statue seguono portate a spalle con lo stesso sistema dell'Addolorata.
Le statue sono seguite dall'intera popolazione,mentre il Cristo,di tappa in tappa,segue la sua Via Crucis. Lungo il faticoso cammino viene asciugato dalla Veronica e aiutati dal Cireneo.
E' un  sollievo per il Cristo che viene liberato dalla grande e pesante croce per circa 15 min.
Intanto si avvicina il crepuscolo e si accentono grosse torce che fannno luce a questa meravigliosa sciera che all'unisono intona il "Sono stata io l'ingrato o mio Dio perdono e pieta".

Tratto da "L'informatore Calabrese"  Marzo 1976

18/04/11

L'aurora boreale

Questo è un filmato di un professionista, che riesce a

 trasmettere emozioni e senzazioni che vanno Oltre....           http://www.facebook.com/TSOPhotography

14/04/11

Venerdì Santo

Questo video risale al 1987, quando alcuni ragazzi organizzarono la prima processione vivente del Venerdì Santo a Bocchigliero.La storia la fa chi arriva prima. Poi, questo video, sparì per moltissimi anni, quindi venne concesso a Giuseppe Lerose, amico di vecchia data, di pubblicarlo sul web, oggi noi lo riproponiamo per chi non l'avesse ancora visto. Vogliamo, a tutti voi, augurarvi una buona settimana Santa e una Pasqua di gioia e serenità.




Buona visione



CRISTO

Lavoro di Mariolino da Caravaggio (falsario)



Mattino di Pasqua

Cristo!
Tu salvatore delle genti
che un giorno in cielo
sollevasti il corpo,
solleva a te l'umanità che soffre
ed in te crede,
come il ladro in croce.
Solleva il mondo dalla fame amara
di pace, di giustizia, di perdono.
Solleva il male
che tormenta il corpo di tanta gente
che in un letto giace.
Dissolvi,
con il suono delle campane
che a festa suoneranno stamattina
dicendo al mondo che tu sei risorto,
il male antico:
l'odio e la vendetta, dal cuore umano
e rendilo pulito,
come quel giorno in cui gli regalasti
la terra per dimora e paradiso.

         Da: "Tra il vento e la pioggia"  di E. Benincasa



07/04/11

LE VERGHE DI ORO ( Leggenda paesana)


Territorio nel 1930 ( TRECCANI Enciclopedia) 



Vogliamo raccontarvi una leggenda, che abbiamo trovato in un testo del 1862 (appena un anno dopo l'Unità d'Italia). Testo di cui vi abbiamo già parlato,"Rime e Prose per Leonardo Mazza da Bocchigliero", ma adesso entriamo in una di queste meravigliose prose con rime e con una scrittura oramai scomparsa, un pò come la divina commedia di Dante, più volte citato nel testo. La leggenda di cui ci racconterà Leonardo Mazza successe, se successe, durante gli anni in cui il simbolo di Bocchigliero, era questo,(nella foto),che è un nostro biglietto da visita" TERRA BVCCHIGLIERI ". Abbiamo scelto di presentarvi questo pezzo per non dimenticare, mai, le nostre Radici, Storiche e Culturali, che sono la nostra colonna portante nella costruzione dell'Identità Antropologica di un popolo...e sicuramente Oltre.





         

         LE VERGHE DI ORO
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                                                                                                                    LEGGENDA PAESANA


Qual profondo del mar segreto abisso,
 Che mai, si appaga della orribil piena
 Di mille rivi, e di torrenti, e piogge,
 E' il cuor dell'uomo! A Lui dell'onde azzurre
 Il vasto interminabile orizzonte,
 Gli estesi campi, le profonde valle,
 E la stellata immensità dei Cieli
 Son poca cosa. In lui terribil guerra
 Fanno gli impulsi di contrarii affetti;
 Onde rivolge inquieto il suo pensero
 All'aquisto di un ben, di cui soltanto
 E' rimasta quaggiù la ricordanza;
 Felicitade io dico! Ahimè! affannoso
 L'uomo la cerca fra gli onor; sul trono;
 Fra lo splendore di ricchezze immense;
 Nei dolci amplessi di vezzos'amante;
 Ma invan! Del cuore suo duro governo
 Fa la pervers'Ambizion, che cieca
 Giammai non sazia la bramosa voglia,
 E da oggetto volando in altro oggetto,
 Ogni legame di natura spezza,
 E sacrilega, orrenda, parricida
 Infin diventa, senz'aver mai posa.
 Nell'amore gli versa entro le vene
 Tosco mortal di Gelosia la orrenda
 Cieca mània, che furioso il rende.
 E nel desio delle ricchezze, il core
 Gli rode orribil verme, l'interesse!
 Quel funesto malor, che inoculando
 Il suo veleno entro agli umani petti,
 Spinge i mortali agli spergiuri, ai vili
 Iniqui tradimenti ; ad ogn' infame
 Lorda sozzurra; all'adulterio, al sangue.
 A quai tremendi orribili delitti
 L'uomo non spinge l'esecranda fame
 Dell'oro? Ahimè di Polidoro io taccio!
 E d'altri mille assai funesti casi
 Orridi effetti di avarizia ingorda.

Dirò soltanto dell'orrendo scempio,
 Che d'innocente garzoncello fece
 Un uomo iniquo della patria mia,
 Di cui si serb'ancor trista memoria
 Fra i più tardi nipoti, a cui le vene
 Tremar di orrore in ricordarlo ai figli.
 D'alta montagna in su la cima siede
 Di Bocchigliero la terra, che superba
 Quasi Regina delle nubi stende
 L'acuto sguardo da lontano al Jonio,
 E dopo il ghiaccio dell'Inverno ride
 Come sposa novella, inghirlandata
 Da mille grati variopinti fiori,
 Che lambe il bacio d'olezzante auretta.
 Quivi, un secolo è già, vivea superbo
 Di sue ricchezze di Fuligno un figlio,
 Ricco di mandre, e di poderi; un vago
 Garzoncello tenea qual guardiano
 Di un piccolo stuolo di setosi porci,
 Che in Vallodoro a pascolar mandava.
 Mentre un giorno colà
 Quel giovinetto
 Pascer faceva le setose belve
 IN mezzo al grembo di una valle opaca,
 Quelle col muso rovistando, fuora
 Dal rimosso terren trasser due verghe.
 Appena egli le vide, assai giulivo
 Corse, le prese, le guardò più volte,
 E di acciaio, credendole, o di ferro,
 Presto ne andiede, al suo Patron recolle,
 Appena in su le stesse il guardo volse
 L'avaro ingordo, ch'eran d'oro vidde;
 E n'esultò.Mille carezze fece
 Al garzoncello; e il dimandò più volte
 Donde a te queste verghe?In vallodoro
 L'ho rinvenute, il giovinetto disse,
 Nel rovistio delle grugnanti belve.
 Queste verghe di acciaio un dì nascose
 L'avolo mio colà, disse quel furbo:
 Orgiunto è il tempo, in cui riprender deggio
 Quanto a me s'appartien: ragazzo, andiamo
 Colà dove tu queste hai rinvenute

Era il giorno all'occasso: e l'orizzonte
 Irradiava la purpurea luce
 Del sol, che disparia nell'occidente.
 Allor quei due solinghi e non veduti
 Mosser di Vallodoro in ver la selva,
 Delle verghe fatali alla scoperta.
 Lieto innanzi ne andava il giovinetto,
 E pensieroso e cupo lo seguiva
 Dappresso il suo padron,che incerto,e tristo
 Volgeva intorno sospettoso il guardo
 Come lupo rapace, il qual si accinge
 A dar la caccia alle dormenti mandre
 Giunsero quivi allor che l'Universo
 Della sera copriva il bruno ammanto,
 E del crepuscol suo l'incerto raggio
 Delle cose mostrava appena appena
 Il morente colore. Allor posaro
 Stanchi, anelanti a rinfrescar la lena
 Sui verdi strati di olezzant'erbetta.
 Primo il garzone incominciò. Signore,
 Vedi il terreno rovistato?Il veggio.
 Ebben! colà trovai quelle tre verghe.

Come scaltro mastino, il qual da lungi
 Guarda la preda, e frettoloso addosso
 Le corre: in simil guisa il folle avaro
 Corse, tenendo in man rustica mazza,
 E la diede al garzon, prendi, dicendo
 Apr'il terreno: e quei tost'obbediva
 Taciturno al comando del suo Sire.
 Dopo alquanti minuti il buon garzone
 Dato un colpo di marra, ode un tintinno
 Di metalli oggetto, e più frequenti
 Cadono i colpi allora, infin che scopre
 Lunga cassa di legno infracidata,
 Sentì l'avaro allor stringers'il cuore
 Tra il timore e la gioia: in un momento
 Aprì la cassa, e la rinvenne piena
 Tutta di verghe di pregevol, oro.
 Appena ei vide il gran tesoro, in petto
 Sentì balzarsi per la gioia il core.
 Ma poi temendo che il garzone avrebbe
 La sua fortuna di svelato altrui,
 Ed il Fisco Real stesa vi avesse
 La sua mano possente; chè in quel tempo
 Su i tesor il suo dritto aveva il Fisco,
 L'orribil concepì fiero disegno
 D'immolar l'innocente garzoncello,
 Vittima sacra all'avarizia sua!
 In quel momento, in cui dense copriano
 Tenebre il mondo,lo condusse in riva
 Di un ruscello vicino: ed impugnato
 Terribilbrando minaccioso alzava
 L'esecrabile destra, onde ferire
 Il meschinello. Appena egli lo vide
 Minacciargli la vita, genuflesso
 Cadde ai suoi piedi, e dimandò più volte...
 Perchè mi uccidi? Cosa mai ti ho fatto?
 E singhiozzando gli chiedea perdono
 Delle sue colpe, se qualcuna in lui
 Commessa egli ne avea. Ma quello in petto
 Roder sentia dell'interesse il verme,
 Ond'era sordo alla pietà. Più volte
 Vibrò nel petto all'infelice il brando,
 E quei cadde, chiamando nel morire
 Il dolcissimo nome di Maria....
 Quindi gettollo il fiero in mezzo all'onde
 Del rio, che mormorando i suoi lamenti
 Alzav'al Ciel per così gran delitto.
 Torna, ciò fatto alla fatale cassa
 Dell'auree verghe e le trasporta in casa:

Invan si tenta coi delitti orrendi
 Comprar felicità! Crudo rimorso
 Fa nel petto del reo terribil guerra:
 Gli turba i sogni, e lo molesta in veglia
 Coi tremendi latrati. Hai stolta, e vana
 Lusinga dei mortali! Allorchè l'uomo
 Cerca il bene nel male. Il mal peggiora,
 Fassi reale, e il ben presto dispare
 Qual nebia mossa da contrarii venti.
 Lo sciagurato, a cui grondava il sangue
 Dell'innocente dall'infame destra,
 Non ebbe mai nel viver suo riposo:
 Stava solingo: e sbigottito il guardo
 Volgeva intorno, come un uom che teme
 La vendetta di alcuno. I sogni suoi
 Turbava orribil gigantesco spettro!
 Livido il volto, e scarmigliato il crine
 Volgea su lui lo sguardo minaccioso,
 E gridava: Crudel, nel fuoco eterno
 Andrai perduto! E mentre vivi, in pace
 Non poserai per un istante il capo!!

E gli mostrava insanguinato brando,
 Su cui scolpiva con la destra mano:
 " Sangue innocente! E rivolgendo il ferro
 V'imprimeva " Del Ciel giusta vendetta!
 A tal vista, a tai detti egli tremava:
 Volea gridar, ma gli moria la voce
 Nell'affannoso straziato petto:
 Onde dal sonno si destava; e intorno
 Volgea smarrito e spaventato il guardo.
 Gridando: aiuto! aiuto! aiuto! aiuto!
 E si mettea sul viso ambe le palme.
 Così puniva il Ciel l'orrendo scempio
 Dell'innocente anciso giovinetto,
 L'ombra del quale, orribile fantasma!
 Tremar faceva l'uccisore infame.

Tra i rimorsi, le veglie e la paura
 Visse molti anni quell'incordo avaro,
 Privo dei lumi; che a punirlo Iddio
 Dell'avarizia sua, dei suoi delitti.
 Gli tolse il mezzo di veder dell'oro
 Il funesto splendor, che l'abbagliava,
 Fino a renderlo, ahimè! Vile omicida,
 Giunse al fine per lui l'ora fatale,
 Che l'appellava dell'Eterno Al Trono,
 Qual reo dinnanzi alla Giustizia vera.

Egli moriva: e nel morir più volte
 Maledisse il Creato, e l'esistenza
 Dell'alma sua, che nel terribil nulla
 Volea già spenta. Ahi sciagurato! Eterna
 Terribil'esistenza ora ti aspetta
 Nella cupa infernal sede dei rei,
 Dove iuvan dei tuoi falli avrai cordoglio.
 Ivi a neri caratteri vedrai
 Scritta del Ciel terribile sentenza "
 " Ecco la valle, ove la gioia è morta!
 " Lasciate ogni speranza voi ch'entrate!
 Nè avrai benigno spirito, che ti dica:
 Quì si convien lasciare ogni paura;
 Ma di Cerbero invece la fumante
 Triplice gola troverai, che in petto
 Ti verserà d'inferno ardenti fiamme.
 Infatti egli moriva: e allor che inquieto
 Al suo corpo un addio dava lo Spirito,
 D'angeli neri orribile caterva
 L'accolse in seno, ed esultante sparve.


Da : "_________ Rime e Prose per Leonardo Mazza da Bocchigliero___________"