07/04/11

LE VERGHE DI ORO ( Leggenda paesana)


Territorio nel 1930 ( TRECCANI Enciclopedia) 



Vogliamo raccontarvi una leggenda, che abbiamo trovato in un testo del 1862 (appena un anno dopo l'Unità d'Italia). Testo di cui vi abbiamo già parlato,"Rime e Prose per Leonardo Mazza da Bocchigliero", ma adesso entriamo in una di queste meravigliose prose con rime e con una scrittura oramai scomparsa, un pò come la divina commedia di Dante, più volte citato nel testo. La leggenda di cui ci racconterà Leonardo Mazza successe, se successe, durante gli anni in cui il simbolo di Bocchigliero, era questo,(nella foto),che è un nostro biglietto da visita" TERRA BVCCHIGLIERI ". Abbiamo scelto di presentarvi questo pezzo per non dimenticare, mai, le nostre Radici, Storiche e Culturali, che sono la nostra colonna portante nella costruzione dell'Identità Antropologica di un popolo...e sicuramente Oltre.





         

         LE VERGHE DI ORO
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                                                                                                                    LEGGENDA PAESANA


Qual profondo del mar segreto abisso,
 Che mai, si appaga della orribil piena
 Di mille rivi, e di torrenti, e piogge,
 E' il cuor dell'uomo! A Lui dell'onde azzurre
 Il vasto interminabile orizzonte,
 Gli estesi campi, le profonde valle,
 E la stellata immensità dei Cieli
 Son poca cosa. In lui terribil guerra
 Fanno gli impulsi di contrarii affetti;
 Onde rivolge inquieto il suo pensero
 All'aquisto di un ben, di cui soltanto
 E' rimasta quaggiù la ricordanza;
 Felicitade io dico! Ahimè! affannoso
 L'uomo la cerca fra gli onor; sul trono;
 Fra lo splendore di ricchezze immense;
 Nei dolci amplessi di vezzos'amante;
 Ma invan! Del cuore suo duro governo
 Fa la pervers'Ambizion, che cieca
 Giammai non sazia la bramosa voglia,
 E da oggetto volando in altro oggetto,
 Ogni legame di natura spezza,
 E sacrilega, orrenda, parricida
 Infin diventa, senz'aver mai posa.
 Nell'amore gli versa entro le vene
 Tosco mortal di Gelosia la orrenda
 Cieca mània, che furioso il rende.
 E nel desio delle ricchezze, il core
 Gli rode orribil verme, l'interesse!
 Quel funesto malor, che inoculando
 Il suo veleno entro agli umani petti,
 Spinge i mortali agli spergiuri, ai vili
 Iniqui tradimenti ; ad ogn' infame
 Lorda sozzurra; all'adulterio, al sangue.
 A quai tremendi orribili delitti
 L'uomo non spinge l'esecranda fame
 Dell'oro? Ahimè di Polidoro io taccio!
 E d'altri mille assai funesti casi
 Orridi effetti di avarizia ingorda.

Dirò soltanto dell'orrendo scempio,
 Che d'innocente garzoncello fece
 Un uomo iniquo della patria mia,
 Di cui si serb'ancor trista memoria
 Fra i più tardi nipoti, a cui le vene
 Tremar di orrore in ricordarlo ai figli.
 D'alta montagna in su la cima siede
 Di Bocchigliero la terra, che superba
 Quasi Regina delle nubi stende
 L'acuto sguardo da lontano al Jonio,
 E dopo il ghiaccio dell'Inverno ride
 Come sposa novella, inghirlandata
 Da mille grati variopinti fiori,
 Che lambe il bacio d'olezzante auretta.
 Quivi, un secolo è già, vivea superbo
 Di sue ricchezze di Fuligno un figlio,
 Ricco di mandre, e di poderi; un vago
 Garzoncello tenea qual guardiano
 Di un piccolo stuolo di setosi porci,
 Che in Vallodoro a pascolar mandava.
 Mentre un giorno colà
 Quel giovinetto
 Pascer faceva le setose belve
 IN mezzo al grembo di una valle opaca,
 Quelle col muso rovistando, fuora
 Dal rimosso terren trasser due verghe.
 Appena egli le vide, assai giulivo
 Corse, le prese, le guardò più volte,
 E di acciaio, credendole, o di ferro,
 Presto ne andiede, al suo Patron recolle,
 Appena in su le stesse il guardo volse
 L'avaro ingordo, ch'eran d'oro vidde;
 E n'esultò.Mille carezze fece
 Al garzoncello; e il dimandò più volte
 Donde a te queste verghe?In vallodoro
 L'ho rinvenute, il giovinetto disse,
 Nel rovistio delle grugnanti belve.
 Queste verghe di acciaio un dì nascose
 L'avolo mio colà, disse quel furbo:
 Orgiunto è il tempo, in cui riprender deggio
 Quanto a me s'appartien: ragazzo, andiamo
 Colà dove tu queste hai rinvenute

Era il giorno all'occasso: e l'orizzonte
 Irradiava la purpurea luce
 Del sol, che disparia nell'occidente.
 Allor quei due solinghi e non veduti
 Mosser di Vallodoro in ver la selva,
 Delle verghe fatali alla scoperta.
 Lieto innanzi ne andava il giovinetto,
 E pensieroso e cupo lo seguiva
 Dappresso il suo padron,che incerto,e tristo
 Volgeva intorno sospettoso il guardo
 Come lupo rapace, il qual si accinge
 A dar la caccia alle dormenti mandre
 Giunsero quivi allor che l'Universo
 Della sera copriva il bruno ammanto,
 E del crepuscol suo l'incerto raggio
 Delle cose mostrava appena appena
 Il morente colore. Allor posaro
 Stanchi, anelanti a rinfrescar la lena
 Sui verdi strati di olezzant'erbetta.
 Primo il garzone incominciò. Signore,
 Vedi il terreno rovistato?Il veggio.
 Ebben! colà trovai quelle tre verghe.

Come scaltro mastino, il qual da lungi
 Guarda la preda, e frettoloso addosso
 Le corre: in simil guisa il folle avaro
 Corse, tenendo in man rustica mazza,
 E la diede al garzon, prendi, dicendo
 Apr'il terreno: e quei tost'obbediva
 Taciturno al comando del suo Sire.
 Dopo alquanti minuti il buon garzone
 Dato un colpo di marra, ode un tintinno
 Di metalli oggetto, e più frequenti
 Cadono i colpi allora, infin che scopre
 Lunga cassa di legno infracidata,
 Sentì l'avaro allor stringers'il cuore
 Tra il timore e la gioia: in un momento
 Aprì la cassa, e la rinvenne piena
 Tutta di verghe di pregevol, oro.
 Appena ei vide il gran tesoro, in petto
 Sentì balzarsi per la gioia il core.
 Ma poi temendo che il garzone avrebbe
 La sua fortuna di svelato altrui,
 Ed il Fisco Real stesa vi avesse
 La sua mano possente; chè in quel tempo
 Su i tesor il suo dritto aveva il Fisco,
 L'orribil concepì fiero disegno
 D'immolar l'innocente garzoncello,
 Vittima sacra all'avarizia sua!
 In quel momento, in cui dense copriano
 Tenebre il mondo,lo condusse in riva
 Di un ruscello vicino: ed impugnato
 Terribilbrando minaccioso alzava
 L'esecrabile destra, onde ferire
 Il meschinello. Appena egli lo vide
 Minacciargli la vita, genuflesso
 Cadde ai suoi piedi, e dimandò più volte...
 Perchè mi uccidi? Cosa mai ti ho fatto?
 E singhiozzando gli chiedea perdono
 Delle sue colpe, se qualcuna in lui
 Commessa egli ne avea. Ma quello in petto
 Roder sentia dell'interesse il verme,
 Ond'era sordo alla pietà. Più volte
 Vibrò nel petto all'infelice il brando,
 E quei cadde, chiamando nel morire
 Il dolcissimo nome di Maria....
 Quindi gettollo il fiero in mezzo all'onde
 Del rio, che mormorando i suoi lamenti
 Alzav'al Ciel per così gran delitto.
 Torna, ciò fatto alla fatale cassa
 Dell'auree verghe e le trasporta in casa:

Invan si tenta coi delitti orrendi
 Comprar felicità! Crudo rimorso
 Fa nel petto del reo terribil guerra:
 Gli turba i sogni, e lo molesta in veglia
 Coi tremendi latrati. Hai stolta, e vana
 Lusinga dei mortali! Allorchè l'uomo
 Cerca il bene nel male. Il mal peggiora,
 Fassi reale, e il ben presto dispare
 Qual nebia mossa da contrarii venti.
 Lo sciagurato, a cui grondava il sangue
 Dell'innocente dall'infame destra,
 Non ebbe mai nel viver suo riposo:
 Stava solingo: e sbigottito il guardo
 Volgeva intorno, come un uom che teme
 La vendetta di alcuno. I sogni suoi
 Turbava orribil gigantesco spettro!
 Livido il volto, e scarmigliato il crine
 Volgea su lui lo sguardo minaccioso,
 E gridava: Crudel, nel fuoco eterno
 Andrai perduto! E mentre vivi, in pace
 Non poserai per un istante il capo!!

E gli mostrava insanguinato brando,
 Su cui scolpiva con la destra mano:
 " Sangue innocente! E rivolgendo il ferro
 V'imprimeva " Del Ciel giusta vendetta!
 A tal vista, a tai detti egli tremava:
 Volea gridar, ma gli moria la voce
 Nell'affannoso straziato petto:
 Onde dal sonno si destava; e intorno
 Volgea smarrito e spaventato il guardo.
 Gridando: aiuto! aiuto! aiuto! aiuto!
 E si mettea sul viso ambe le palme.
 Così puniva il Ciel l'orrendo scempio
 Dell'innocente anciso giovinetto,
 L'ombra del quale, orribile fantasma!
 Tremar faceva l'uccisore infame.

Tra i rimorsi, le veglie e la paura
 Visse molti anni quell'incordo avaro,
 Privo dei lumi; che a punirlo Iddio
 Dell'avarizia sua, dei suoi delitti.
 Gli tolse il mezzo di veder dell'oro
 Il funesto splendor, che l'abbagliava,
 Fino a renderlo, ahimè! Vile omicida,
 Giunse al fine per lui l'ora fatale,
 Che l'appellava dell'Eterno Al Trono,
 Qual reo dinnanzi alla Giustizia vera.

Egli moriva: e nel morir più volte
 Maledisse il Creato, e l'esistenza
 Dell'alma sua, che nel terribil nulla
 Volea già spenta. Ahi sciagurato! Eterna
 Terribil'esistenza ora ti aspetta
 Nella cupa infernal sede dei rei,
 Dove iuvan dei tuoi falli avrai cordoglio.
 Ivi a neri caratteri vedrai
 Scritta del Ciel terribile sentenza "
 " Ecco la valle, ove la gioia è morta!
 " Lasciate ogni speranza voi ch'entrate!
 Nè avrai benigno spirito, che ti dica:
 Quì si convien lasciare ogni paura;
 Ma di Cerbero invece la fumante
 Triplice gola troverai, che in petto
 Ti verserà d'inferno ardenti fiamme.
 Infatti egli moriva: e allor che inquieto
 Al suo corpo un addio dava lo Spirito,
 D'angeli neri orribile caterva
 L'accolse in seno, ed esultante sparve.


Da : "_________ Rime e Prose per Leonardo Mazza da Bocchigliero___________"




                                                  
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
                                             
                                                   
                        
                                                           

4 commenti:

  1. incuriosisce molto.leggenda ho verita?bisognerebbe indagare piu a fondo. ed oltre......

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  2. Gianni, noi abbiamo sguinzagliato i nostri seguggi. Grazie della visita, se vuoi puoi aggregarti ai ns seguggi
    ciao

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  3. Da Giuseppe Scafoglio a Leonardo Mazza grandi sono le testimonianze culturali che i nostri avi ci hanno tramandato e che il blog stà puntualmente valorizzando,sarebbe bello che dalla rete questa pratica si materializzasse anche nella realtà quotidiana del nostro paese.E allora ecco una proposta,perchè non organizzare una Giornata-evento,nella programmazione estiva,dove le diverse espressioni culturali della nostra storia,trovino modo per rivivere e ricordarci che solo sapendo bene da dove si viene si può guardare...oltre..
    Se ci facciamo caso anche nel nome il nostro paese ha questo messaggio BOc chi gli ero,chi ero e come eravamo,il tempo come dimensione prevalente..tempo che il nostro paese rischia di non avere più..e quindi uniamo le discipline e le capacità ed organizziamo una vetrina al nostro passato con mostre,video,poesie,teatro,musica,omaggiamoci per una volta invece che dividerci..ciao Piero, buona Primavera e oltre...

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  4. Squisito e puntuale il tuo commento che apprezzo e apprezziamo, sapendo di toccare corde sensibili e non limitandoci a segnalare, ma propio ieri, al nostro amatato paesello, si è discusso di organizzare qualche cosa propio su questo scritto di Leonardo Mazza. Insieme a Gianni Vincenzo e Pino Jannelli si è pensato di preparare una fiction sull'evento tragico di questa leggenda, o una ps teatrale-
    Grazie infinite del tuo apprezzamento Nico

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